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Piccola Storia del Popolo Brasiliano

con incisioni e una carta geografica del Brasile

Prof. G. Monachesi

www.eBooksBrasil.org


 

 

Piccola Storia del Popolo Brasiliano (17.11.1913)
con incisioni e una carta geografica del Brasile
Prof. G. Monachesi

Edição
eBooksBrasil

Versão para eBook
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Fonte Digital
Digitalização da edição em papel
Biblioteca Popolare di Coltura
Antonio Vallardi — Editore
Via Stelvio, 2
Milano
1913

Copyright:
©2006 Prof. G. Monachesi


INDICE

Nota do Editor
CAPITOLO I.
STORIA DEL BRASILE
dall’epoca coloniale fino alla fondazione dell’impero.
CAPITOLO II.
GEOGRAFIA DEL BRASILE.
CAPITOLO III.
Etnografìa — Usi e Costumi
Storia della colonizzazione italiana nel Brasile.
CAPITOLO IV.
Gli Italiani nei diversi Stati del Brasile.
CAPITOLO V.
Alcune, “Fazendas” italiane e brasiliane nello Stato di S. Paulo.
CAPITOLO VI.
Prodotti, Industrie e Commerci Brasiliani.
CAPITOLO VII.
Istituzioni, pubbliche brasiliane.
CAPITOLO VIII.
Il Capitolo degli Emigranti.
Indice
Notas


Nota do Editor

Esta é uma obra rara.

Publicada em 1913, em Milão, era um guia para os italianos que demandavam o Brasil. É um documento histórico importante para a reconstrução da epopéia, da heroicidade dos italianos que vieram dar sua contribuição para a construção do Brasil.

O documento fala por si e de sua importância.

Na revisão, cuidou-se de manter a integralidade da fonte digitalizada. Assim, foram preservadas as grafias, mesmo quando incorretas, referentes a lugares e pessoas. Por exemplo, Pedro Alvarez, Martino Alfonso de Sonza, Thomas de Souza, Minas Gerães, Piracicata, Teodoro da Fonseca, entre outros. Até mesmo a concordância (p.e. “se vuol lavorare come salariato in una fazendas”) foi preservada.

Foi mantida, ainda, a grafia do original italiano, mesmo no que se refere à própria língua italiana. Não se tratou de atualizar nada. A “i lunga” (j) é um bom exemplo.

Mas, para evitar ao eventual leitor a mesma dúvida que apareceu na revisão, foi corrigido, no índice, ‘remajuolo’, como está na fonte digitalizada, por ‘renajuolo’, como aparece no corpo do livro (atual: renauolo - addetto allo scavo e al trasporto di sabbia - Varianti: renaiuolo - Ap. De Mauro - il dizionario della lingua - www.demauroparavia.it).

Uma advertência final é importante: trata-se de uma digitalização e edição em outros formatos, a partir do html extraído de um pdf. Em bom e claro português: novos erros podem ter sido adicionados aos originais e torna-se difícil separar os antigos dos novos. Por isso, estamos colocando também à disposição dos usuários do eBooksBrasil a primeira digitalização no pdf original.

Boa leitura!

Teotonio Simões
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PROPRIETÀ LETTERARIA

 

Milano. Coi tipi dello Stabilim. dell’Editore ANTONIO VALLARCI.
17-11-913 (dx).


CAPITOLO I.

 

STORIA DEL BRASILE
dall’epoca coloniale fino alla fondazione dell’impero.

 

Scoperta del Brasile.

La tradizione fa risalire la scoperta del Brasile a Jean Cousin, capitano marittimo di Dieppe, che vi sarebbe giunto verso il 1488; ma nessun documento storico esiste che possa testimoniare questo viaggio.

Il vero scopritore del paese fu il portoghese Alvarez Cabral il quale salpò da Lisbona il 9 marzo 1500, dopo aver ricevuto da Vasco de Gama l’istruzione di dirigersi verso le Indie, facendo rotta costantemente verso il Sud e tenendosi lontano dalle coste africane.

Il 21 aprile Cabral scorse galleggiare sull’acqua piante marine, che gli additarono come qualche terra non fosse lontana, ed infatti il giorno seguente apparve il profilo netto d’una montagna, che il comandante chiamò Monte Paschoal. Nel 23 egli fece gettare l’ancora a mezza lega dalla costa e finalmente il giorno 25 le navi entrarono in una baja a cui fu posto il nome di Porto Seguro. Alvarez Cabral salutò il paese inatteso, incontrato nel viaggio per le Indie, col nome di Terra de S. Cruz, che si cambiò più tardi in quello di Brasil, nome già noto in commercio tra gl’indigeni perchè con esso s’indicava una specie di legname usato nelle tintorie e chiamato dagli indii ibarà pitang, e ne prese subito possesso. Ormai la via era aperta alle numerose esplorazioni europee verso la nuova terra.

Le prime esplorazioni.

Le due prime esplorazioni furono compiute dal 1501 al 1504 e ad esse prese parte il nostro grande italiano Amerigo Vespucci[1]. Nella prima s’identificò la costa fra Cabo S. Roque e Cananèa e nella seconda si percorse la estesa spiaggia da Bahia verso il Sud.

Presso l’isola di Fernando de Noronha, Vespucci si separò dal capo delle spedizioni, Gonzales Coelho, continuò le sue esplorazioni spingendosi dentro terra per circa 40 leghe e, a Capo Frio, costruì un forte mentre il Coelho ne faceva erigere un altro nella baja di Rio de Janeiro. I due forti vennero distrutti, più tardi, dagli indii. Nel 1504 il nostro Amerigo Vespucci pubblicò una carta, la quale fu il primo documento che facesse conoscere all’Europa le meraviglie delle terre brasiliane e scrisse queste parole profetiche ed entusiastiche: «E se nel mondo è alcun paradiso terrestre, senza dubbio deve essere non molto lontano da questi luoghi».

La colonizzazione portoghese s’effettuò lentissimamente, perchè il Portogallo, allora all’apogeo della prosperità, non si curò molto della sua nuova conquista, pur impedendo che altri ne profittasse.

Il governo portoghese, tra il 1508 ed il 1526, fece deportare sulle terre brasiliane molti condannati e mandò verso il territorio scoperto un buon numero di coloni per popolarlo.

Nel 1510 il portoghese Diego Alvares, salvatosi da un naufragio sull’isola di Itaparica, prese stabile dimora nel paese, vi sposò un’india, cambiò il suo nome con quello di Caramaru e divenne capo potente di tribù.

Nel 1512 un altro portoghese João Ramalho si stabiliva in Piratininga, che oggi fa parte del territorio dello Stato di S. Paolo, sposò la figlia d’un indio, mentre Antonio Rodriguez anch’egli sposava la figliuola d’un altro capo di tribù indigena e fissava la sua residenza in Gerybatiba. Tutti questi primi abitatori del Brasile furono al servizio del Governo portoghese.

La colonizzazione — I Gesuiti — Gli esploratori.

Nell’anno 1531 il re del Portogallo incaricava Martino Alfonso de Sonza di occupare il Brasile ed amministrarlo e nel 1532 costui impiantava la Colonia di S. Vicente. Più tardi il paese fu suddiviso da linee immaginarie, parallele all’equatore, in 15 sezioni, costituenti 12 Capitanie ereditarie delle quali re Giovanni II fece donazione a vari gentiluomini portoghesi fra cui lo stesso Martino Alfonso che tenne per sè la Capitania di S. Vicente, oggi il floridissimo Stato di S. Paolo.

Si deve a lui l’importazione della canna da zucchero nel Brasile, dall’isola di Madeira.

La colonizzazione del paese incominciò nel 1532 e continuò fino al 1566, mentre i re del Portogallo riscattavano a poco a poco le Capitanie a profitto della Corona.

Nel giugno del 1500 un compagno del grande Cristoforo Colombo, Vicente Yanez Pinzon, approdava all’imboccatura dell’Amazzone; ma senza cercare di riconoscerne il corso. Dopo quarantanni il maestoso fiume venne percorso nella sua maggior parte dallo spagnuolo Francisco Orellana il quale, inviato da Gonzalo Pizarro a cercare le provvigioni necessarie nella valle del Napo, abbandonò invece il Gonzalo e, con una misera barca di legno ancor verde, montata da pochi uomini, discese il Napo, poi l’Amazzone finché, dopo otto mesi di navigazione, potè giungere all’imboccatura del gran fiume. In Ispagna si credette ch’egli avesse scoperto il paese favoloso dell’Eldorado e Carlo V, a cui Orellana aveva fatto una narrazione oltremodo fantastica, lo nominò governatore delle regioni scoperte; ma egli morì sulla costa di Caracas senza aver potuto ritornare all’imboccatura di quel fiume maestoso, che gli Indiani chiamavano coi nomi significativi di Tunguragua, cioè «Fiumei-re» credendo che facesse il giro del mondo e aggruppasse intorno alle sue rive tutti i popoli della terra.

Nel 1549 Thomas de Sonza venne nominato primo governatore del Brasile. Egli fondò la città di San Salvador da Bahia, che per due secoli ne fu la capitale, e condusse con sè, per civilizzare gli indigeni, alcuni padri gesuiti, fra cui emersero molte figure nobilissime; come Manoel Nobrega, Aspilcueta Navarro e Josè de Anchieta, chiamati gli apostoli del Brasile.

Padre Manoel da Nobrega, di vivissimo ingegno, ajutò efficacemente l’onesta e feconda amministrazione del De Sonza, fondò in Bahia una scuola dove i figli degli aborigeni venivano istruiti, e viaggiò così attivamente fra quelle tribù incivili che gli indigeni lo chiamarono il «prete che vola».

Nello stesso tempo Aspilcueta Navarro imparava da solo l’idioma di quei popoli, preparava un catechismo in lingua tupì, vi traduceva le preghiere cattoliche e con essa predicava il Vangelo ai selvaggi, dirozzandone le abitudini, aprendone le intelligenze, coltivandone a mitezza e a virtù i costumi.

Josè de Anchieta è ancora venerato come il taumaturgo, il Santo del Brasile. Egli andò a Piratininga quale maestro di scuola e soffrì privazioni inaudite per il miglioramento di quelle tribù. Dormiva nella capanna stessa dove, di giorno, non solo faceva lezione, ma curava i malati, ospitava i poveri, adunava quanti fossero senza tetto e senza cibo. Ai suoi alunni insegnava il latino, mentre egli stesso imparava il tupì per comporne il vocabolario e la prima grammatica. Instancabile e buono, lavorava anche di notte per scrivere le lezioni ad ogni alunno, dettava inni, ballate, e azioni teatrali che gli indigeni stessi rappresentavano o a cui assistevano.

I Gesuiti, bisogna serenamente riconoscerlo, furono i protettori, gli amici, gli educatori della primitiva società brasiliana e specialmente dei più umili e maltrattati. Essi costruirono e diressero le prime scuole, strinsero i trattati di pace fra le tribù turbolente; vinsero le epidemie che invadevano plaghe sterminate di terre, e ci lasciarono scritti e carte geografiche che sono documento importantissimo ed unico, fonte preziosa di studio per il passato brasiliano e segnano il cammino vittorioso della civiltà europea, o meglio latina, in quelle terre feconde, destinate ad accogliere, dopo secoli, le energie migliori delle nostre genti.

A quel tempo la popolazione del Brasile si componeva, oltre che degli indii civilizzati ed ancora barbari, di metìcci detti «mamelucos», cioè «figli di donna indigena», dei negri che incominciarono ad essere diretti dall’Africa alle Capitanie del Nord del Brasile, poco dopo che erano state fondate quelle del Sud, e dai bianchi, portoghesi, spagnuoli, olandesi, francesi, ecc. cioè dagli esploratori europei, audaci, indomabili come avventurieri, che si avviarono senza itinerario, senza ricovero, affidandosi al caso, alimentandosi coi prodotti della caccia e della pesca, lungo i corsi dei fiumi, per regioni sconosciute, su zattere improvvisate, superando cascate, paludi, abissi, foreste, affrontando il pericolo delle tribù selvagge, più temibile delle stesse belve, perseguitati dalle febbri, dall’ignoto, dalle intemperie. Questi uomini arditi si fermavano talvolta nella loro affannosa ricerca per accamparsi, seminare cereali, raccoglierli e ricominciare la via aspra, di cui ignoravano il principio e la fine. E così, ostinatamente audaci, percorsero, attraverso a malattie, a privazioni, a catastrofi, a pericoli veri e fantastici l’interno del Brasile per un secolo intero, scoprendo regioni sconfinate, compiendo escursioni, che sono ardue anche oggi, fino a giungere alle Ande, al nord del Paraguay, alle Cordigliere del Perù, esplorando il cuore del Brasile e scoprendo le ricchezze d’oro e di diamanti a Minas Gerães, Goyaz, Matto Grosso, all’est di San Paulo. Essi furono i pionieri meravigliosi ed umili della successiva esplorazione e colonizzazione europea.

Espansione nell’interno del paese nei secoli XVI, XVII, XVIII.

Mentre i Portoghesi assicuravano, con sforzi titanici ed in modo stabile, la loro signoria contro l’invasione e il tentativo di dominio dei Francesi (dal 1504 al principio del secolo XVIII); degli Olandesi (dal 1599 al 6 giugno del 1654); fin dagli ultimi anni del secolo XVI, arditi e sagaci esploratori, s’inoltrarono pian piano nell’interno del paese aprendo la via ai coloni i quali, ben presto, ne popolarono le immense regioni. Gli abitanti di San Paulo, «paulisti» , si distinsero in modo particolare in queste avventure, conquistarono tutta la provincia, oggi chiamata di Rio Grande do Sul, e fondarono nell’interno i primi centri europei di Minas Gerães, di Goyaz, di Matto Grosso e di Santa Catharina, favorendo lo sviluppo commerciale nell’interno e coll’estero e specialmente col Portogallo.

Ma questo progresso era accompagnato da lotte vivissime, tra i nativi del paese e quelli venuti dal Portogallo, e specialmente da battaglie violente tra i Paulisti e gli stranieri che erano accorsi a migliaja nelle miniere per far rapida fortuna. Una di queste guerre feroci durò quattro anni continui. Ma, nonostante l’intraprendenza e la fortuna dei Portoghesi, il progresso della colonia fu ritardato dalla politica errata della madre patria. Infatti, nel secolo decimosettimo e al principio del diciottesimo, il commercio del paese venne monopolizzato da parte di alcune compagnie privilegiate e si stabilì che nessuna derrata dovesse uscire dal Brasile senza passare a Lisbona, in modo che si esclusero assolutamente gli stranieri dal traffico.

Finalmente, verso il 1808, si iniziò una nuova era brasiliana per la venuta della famiglia reale di Bragança dal Portogallo, profuga in seguito all’invasione Napoleonica. Il 7 marzo 1808 Giovanni VI e la sua corte giunsero a Rio de Janeiro e quasi subito un decreto reale dichiarò aperti i porti brasiliani al commercio internazionale per tutti i paesi in rapporti cordiali col Portogallo. Furono impiantati tribunali, scuole superiori, istituti di arti e mestieri, musei, giardini botanici e, nel 1815, per i provvedimenti liberali del sovrano, che cercò con ogni mezzo d’accelerare il progresso della vecchia colonia nazionale, questa fu elevata a regno.

Nel 1821 il Portogallo, liberatosi dagli stranieri, proclamava la Costituzione e le Cortes richiamavano in patria Giovanni VI, il quale lasciò il Brasile, consegnando le redini del potere al figlio Don Pedro, eletto principe reggente.

Dalla fondazione dell’Impero alla proclamazione della Repubblica.

Le Cortes portoghesi manifestarono ben presto l’intento di cambiare nel Brasile la politica liberale e progressista di Giovanni VI, e cercarono di seminar la discordia fra le provincie brasiliane, ed infine richiamarono a Lisbona Don Pedro di Bragança. Da questi tentativi di reazione scoppiò vigoroso il risveglio del movimento autonomo. Infatti il 9 gennajo 1822 gli abitanti di Rio de Janeiro s’adunarono in massa davanti al palazzo della Reggenza, chiedendo al principe di non abbandonare il Brasile, e Don Pedro non solo rassicurò i dimostranti ch’egli non sarebbe partito, ma ordinò alle truppe portoghesi di ritornare in Europa. Però il Brasile aveva aspirazioni ancora maggiori: voleva scuotere e spezzare definitivamente il giogo portoghese sicchè la minima occasione avrebbe fatto scoppiare la rivolta.

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Don Pedro II
imperatore del Brasile.

Ai primi di settembre dello stesso anno una staffetta raggiungeva sul colle di Ypiranga il principe Don Pedro, di ritorno da Santos, e gli consegnava una lettera del Governo portoghese, che gli ordinava di far arrestare i suoi ministri, di abbandonare la reggenza e ritornare immediatamente in Portogallo.

In quell’istante il principe si volse al seguito e, levando la spada, pronunziò ad alta voce le parole, che divennero storiche: «Indipendenza o morte!» Ad esse risposero, con grida di entusiasmo, i gentiluomini e gli ufficiali della guardia d’onore.

Il pittore Pedro Americo eternò l’episodio glorioso del 7 settembre 1822 in un magnifico quadro storico, che si ammira in San Paulo nella Pinacoteca dello Stato.

Questo movimento ebbe il suo trionfo pochi giorni dopo, quando Don Pedro proclamò l’indipendenza del Brasile, gli dette la costituzione e fu eletto Imperatore della giovane nazione. Il periodo che trascorse dal 1822 al 1849, fu occupato da rivoluzioni interne che desolarono il paese e si aggravarono ancor più alla notizia della rivoluzione francese del 1830.

Pedro I, riconosciutosi impotente a frenare le lotte appassionate fra Portoghesi e Brasiliani, abdicò il 7 aprile 1831, affidando i figliuoli minori, senza madre, al popolo trionfante con la rivoluzione, tanto fidava nel suo carattere leale, e lasciando la corona al figlio Don Pedro II, che aveva appena 5 anni, e la direzione del regno ad una reggenza.

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Princip. Isabella di Orleans e Braganza
reggente dell’impero del Brasile nel 1876 in assenza dell’imperatore

Don Pedro II, proclamato dalla nazione maggiorenne a 15 anni, fu un imperatore veramente liberale, buono, illuminato, gloria e fortuna del Brasile che potè, durante i quarant’anni del suo regno, innalzarsi moralmente e materialmente fra le nazioni e prepararsi il più glorioso avvenire. L’istruzione, l’industria, l’agricoltura, il commercio si svilupparono rapidamente e la costruzione di ferrovie, l’organizzazione di linee di navigazione, gli incoraggiamenti all’emigrazione facilitarono una prosperità meravigliosa e il rapido progresso di tutti quegli elementi che sono necessari per lo sviluppo d’una civiltà in formazione. Ma l’opera principale di Don Pedro II, a cui egli si dedicò continuamente, con ogni mezzo suggeritogli dall’intelligenza vivace e dalla bontà dell’animo, e per la quale vivrà immortale nella storia e nella gratitudine dei popoli, fu l’abolizione della schiavitù e, conscguentemente, della tratta dei negri. Il Brasile, infatti, come tutte le colonie produttrici di zucchero, sin dal secolo XVI aveva introdotto i negri africani, e la tratta si praticava ancora su vasta scala nella prima parte del secolo decimonono, specialmente perchè i negri erano i soli lavoratori agricoli, e perchè appunto la produzione del terreno è la fonte principale della ricchezza pubblica. Nel Brasile, dunque, l’opera di emancipazione era più ardua che altrove, potendo travolgere con sè gli interessi vitali del paese; perciò Pedro II dovette adoperarsi con tutte le sue forze, intelligentemente ed instancabilmente, prima d’ottenere dalle Camere un progetto di legge che cancellasse per sempre il vergognoso ed abominevole traffico. Questo atto nobilissimo di Don Pedro, compiuto nel 1850, fu la prima tappa verso l’opera umanitaria; nel 1871 si votò una legge chiamata «del ventre libero», la quale, dichiarando liberi i figli nati da madre schiava, destinava l’abolizione graduale della schiavitù e, nel 1888, dopo un vivacissimo movimento d’opinione determinato dai pubblicisti e dalle associazioni liberali, venne proclamata, il giorno 13 maggio, l’abolizione totale, che fu salutata dall’entusiasmo popolare e dal mondo civile come un nobilissimo trionfo.

Dalla proclamazione della Repubblica ai giorni nostri.

Guerre.

Sotto il regno di Don Pedro II il Brasile sostenne due guerre gloriose: la prima contro l’Argentina o meglio contro il Dittatore argentino J. Manoel Rosas, che dominava dispoticamente in Buenos Aires ed aveva assediato, fin dal 1842, Montevideo. La guerra, dopo dieci anni d’assedio, fini con la vittoria del Brasile e l’indipendenza dell’Uruguay da esso difeso (1852)[2].

La seconda guerra fu diretta contro il Paraguay. per il violento intervento del dittatore Solano Lopez nelle contese del Brasile con la repubblica dell’Uruguay e per un’audace violazione d’ogni regola internazionale e dell’onore stesso del Brasile. L’imperatore Don Pedro II rivolse un caldo appello alla nazione, che rispose entusiasticamente.

La guerra, difficilissima per il numero minore di uomini, e più ancora perchè il Paraguay era un paese sconosciuto e quindi pieno di pericoli, durò sanguinosa per cinque lunghi anni ed ebbe termine con la vittoria del Brasile.

La guerra aspra ed eroica, avendo per la prima volta e per molti anni mantenuti vicini ed ugualmente sottoposti alla stessa disciplina militare ed animati da uno stesso sentimento ed entusiasmo i numerosissimi figli di tutte le più lontane zone del vasto impero, strinse fra i brasiliani i vincoli dell’unità nazionale.

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Teodoro da Fonseca
primo presidente della Repubblica del Brasile

Ma, per quanto il sovrano liberale avesse ottenuto, dai suoi sforzi d’uomo intelligente, un ammirevole progresso nella sua nazione, il partito repubblicano non si trattenne dal fare propaganda attiva contro le istituzioni della monarchia, anzi si ingrandì e rafforzò profittando del malcontento del partito conservatore, in conseguenza dell’abolizione della schiavitù, e preparò segretamente la rivoluzione, che scoppiò improvvisa il 15 novembre 1889, coll appoggio dell’esercito e della marina, diretta dal maresciallo Teodoro de Fonseca. I ministri, asserragliati nel quartiere generale, furono costretti a dimettersi, ed il sovrano venne deposto ed esiliato in Europa, verso cui egli s’imbarcò quasi subito con la famiglia. Ma non si sparse una goccia di sangue.

Un’assemblea costituente, adunata in Rio de Janeiro nel 1890, elaborò la Costituzione, che fu promulgata il 24 febbraio 1891; ed è quella attuale del Brasile. Il primo presidente della Repubblica fu lo stesso Teodoro de Fonseca.

Il primo periodo repubblicano e la costituzione federale.

Il periodo che seguì alla proclamazione della Repubblica, fu uno dei più agitati della storia del Brasile. La rivolta della flotta a Rio, nel 1892, e la così detta guerra federalista, che scoppiò a Rio Grande do Sul, desolarono il paese ed a fatica le truppe governative poterono trionfare sui facinorosi. In quel tempo la nazione era minacciata anche da una violenta crisi economica, prodotta dall’abuso di speculazioni di borsa, da spese smodate che avevano avvilito il valore della carta moneta e dall’organizzazione troppo repentina di imprese industriali.

Tutto questo movimento sembrava, è vero, un poderoso impulso di progresso, un reale ringiovanimento delle forze del paese; ma giunse l’ora in cui la situazione si presentò nella più fosca realtà e, svanita come un’illusione quest’epoca di chimere, il Brasile cominciò a soffrire le dolorose conseguenze dei tentativi iniziati senza i mezzi opportuni.

Ma più dolorosa di questi danni fu la sciagurata guerra civile, che scoppiò violenta e crudele fra i diversi Stati del Governo federale per opera rivoluzionaria e per cui molte nobili vite si spensero; così quella del valoroso patriota ammiraglio Saldanha de Gama, che morì nella battaglia di Campo Osorio. La sua morte ferì così crudelmente il cuore della nazione che tutti sentirono la necessità di por fine alla guerra fratricida, e subito s’iniziò una attiva campagna a favore della pace, la quale venne stipulata iniziando una politica di concordia indispensabile al progresso della Repubblica. Vinte qua e là altre rivolte e perturbazioni politiche, il regime repubblicano, fin dal 1895, si dette con energia indomita ad opere mirabili di restaurazione delle finanze, dell’organismo bancario, ad utili riforme nell’istruzione pubblica, nell’esercito, nella marina, a votare leggi a vantaggio dell’agricoltura e dell’industria nazionale, a curare l’abbellimento e l’igiene della capitale della Repubblica, a promuovere la costruzione di ferrovie e di edifici ed a curare quanto potesse contribuire alla prosperità del Brasile.

La costituzione del 1891.

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Stemma della città di Rio de Janeiro.

La costituzione promulgata nel 24 febbraio 1891 è quella d’una repubblica federale, sul modello degli Stati Uniti dell’America del Nord. Il territorio nazionale è diviso in venti Stati, che formano l’Unione Federale e che godono una larga autonomia amministrativa e politica, eleggono il proprio governatore ed il proprio potere legislativo, il quale può comporsi di una o due Camere. I membri del potere giudiziario di ciascuno Stato sono nominati dal governo locale ed ogni Stato possiede leggi speciali per l’amministrazione della giustizia. Gli Stati sono divisi in municipalità le quali eleggono i propri consigli; qualcuno però ha prefetti municipali nominati dal Governo. La capitale dell’Unione è la città di Rio Janeiro. Quest’ampia autonomia è ristretta solo in quanto riguarda 1’imprescindibilità dell’azione federale nazionale; come pei rapporti con le nazioni estere, per l’esercito, la flotta, il commercio internazionale, le banche d’emissione, il debito pubblico, le poste e telegrafi ed altri servizi d’interesse generale. Ogni cittadino brasiliano maggiorenne, (21 anni), che sappia leggere e scrivere, è elettore ed eleggibile. Lo straniero naturalizzato può occupare tutte le cariche di nomina e di elezione, meno quella di Presidente della Repubblica.

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Il governo federale non può intervenire negli affari statali se non quando si tratti di difendere il territori della Repubblica da un’invasione straniera, o di ristabilire l’ordine pubblico, o per assicurare l’applicazione delle leggi e dei decreti federali e per prestare, se invocato, soccorsi in occasione di pubbliche calamità. Tutti gli affari dell’Unione sono trattati da tre poteri riconosciuti dalla Costituzione: legislativo, esecutivo e giudiziario.

Il potere legislativo è esercitato con la sanzione del Presidente della Repubblica, dal Congresso nazionale, che si compone del Senato e della Camera dei deputati. Senatori e Deputati vengono eletti contemporaneamente in tutta la Repubblica; i primi in proporzione di 3 per ogni Stato, mentre la rappresentanza alla Camera è proporzionata alla popolazione d’ognuno di essi.

Il Senato comprende 63 membri; la Camera dei deputati 212.

Il potere esecutivo ha per capo il Presidente della Repubblica, il quale viene eletto per 4 anni, non è rieleggibile per il periodo presidenziale successivo a quello dal quale è decaduto e nomina e revoca liberamente i propri ministri. Egli è il solo responsabile di fronte al Congresso nazionale. Se incorresse in accuse, dovrebbe sottoporsi al giudizio, del Senato, presieduto dal Supremo Tribunale di giustizia.

I ministeri, ognuno dei quali presiede ad un ramo della pubblica amministrazione, sono 7: interno e giustizia, affari esteri, finanze, lavori pubblici, agricoltura ed industria, guerra, marina.

Il potere giudiziario dell’Unione è composto d’un Tribunale Supremo e d’un giùdice federale, d’un sostituto e d’un procuratore in ogni Stato e nel distretto federale. Questi giudici conoscono le cause e trattano i diritti dell’Unione. Per le cause definite dal potere giudiziario particolare degli Stati, si può ricorrere al Tribunale Supremo, che è composto da magistrati nominati dal Presidente della Repubblica, ma ratificati dal Senato.

Ciascuno Stato può darsi la costituzione che più gli piaccia, purché sieno rispettati i principii costituzionali dell’Unione ed ai Municipi sia garantita l’autonomia necessaria alla libera amministrazione dei loro particolari interessi.

La religione più diffusa è la cattolica; la Chiesa è separata dallo Stato e la maggiore indipendenza di culto, di pensiero, di stampa, di parola domina incondizionatamente in tutti gli Stati dell’Unione.

L’esercito si compone, in tempo di pace, di 20.000 uomini. A questi bisogna aggiùngere la guardia nazionale, che è considerata come una riserva per l’esercito e che funziona solo in tempo di guerra.

Ogni Stato poi ha la sua forza pubblica militarizzata con un numero di uomini proporzionato alla popolazione che conta. Qualche municipio mantiene guardie municipali che funzionano da poliziotti. Tutta la polizia militare ammonta a 35.000 uomini. In quanto alla flotta i brasiliani possono giustamente chiamarsi i Giapponesi dell’America del Sud, poichè furono i primi a crearsi una flotta veramente moderna e, se i turbamenti civili che seguirono alla proclamazione della Repubblica, indebolirono alquanto la forza di questa flotta grandiosa, oggi essa ha di nuovo la supremazia nei mari dell’America del Sud.

L’istruzione è completamente libera e l’Unione mantiene due Facoltà di medicina, due Facoltà di diritto, una Scuola Politecnica, una Scuola mineraria, una Scuola di belle arti e un Conservatorio di musica.

Gli Stati e le associazioni private hanno piena libertà di fondare e sovvenire istituti d’insegnamento superiore, sicchè parecchi Stati hanno la Facoltà di diritto, e quello di San Paulo possiede un’ottima Scuola politecnica, mentre Rio Grande del Sud ha una Facoltà di medicina.

L’insegnamento secondario è libero e a carico degli Stati, ed una legge recente riconosce ai ginnasi ed ai licei privati il diritto di rilasciare diplomi equipollenti a quelli rilasciati dal Ginnasio Nazionale di Rio Janeiro, purché s’informino al programma ufficiale d’insegnamento. Anzi, un censore è incaricato di sorvegliarne la stretta applicazione.

L’istruzione primaria è anch’essa a carico degli Stati e dei municipi, mentre è libera l’apertura di scuole private. In questo momento si dà un’importanza straordinaria alla diffusione degli istituti d’insegnamento professionale e tecnico e già, in parecchi centri, sono sorte scuole commerciali di grandissima utilità.

L’ultimo censimento del Brasile risale al 1906 e il seguente prospetto fa rilevare quanti e quali siano gli Stati con la loro capitale, la superfìcie e la popolazione.

STATICAPITALISUPERFICIEPOPULAZ.
nel 1906
1. AmazonasManàos1.894.724240.400
2. ParáBelém1.149.712652.000
3. MaranhãoS. Luiz459.884660.000
4. PiauhyTheresina301.797425.000
5. CearáFortaleza104.2501.000.000
6. Rio Grande do NorteNatal57.485407.200
7. Parahyba do NorteParahyba74.731596.000
8. PernambucoRecife128.3952.089.500
9. AlagoasMaceió58.491781.600
10. SergipeAracajú39.090450.000
11. BahiaS. Salvador426.4272.335.000
12. Espirito SantoVictoria44.839201.600
13. Rio de JaneiroNictheroy68.9821.300.000
14. S. PauloS. Paulo290.8763.000.000*
15. ParanáCurityba221.319450.000*
16. Santa CatharinaFlorianopolis74.156450.000*
17. Rio Grande do SulPorto Alegre236.5531.500.000*
18. Minas GeraesBello Horizonte574.8554.277.400
19. GoyazGoyaz747.311340.000
20. Matto GrossoCuyabá1.378.783157.000
21. Distretto FederaleRio de Janeiro1.116811.400
22. Territorio do Acre....191.000412.000
 Totale8.524.7762.146.100

 

* — Nel censimento del 1910. Per gli altri non abbiamo ancora i dati. Però la popolazione è ora superiore ai 23.420.000 abitanti. — N. dell’A.


CAPITOLO II.

 

GEOGRAFIA DEL BRASILE.

 

Confini.

Gli Stati Uniti del Brasile occupano, da soli, più della metà delle terre dell’America del Sud e, rispetto alla superficie, sono uno dei paesi più vasti del mondo. Il Brasile è situato in modo che ha le sue terre nei due emisferi, poichè l’Equatore attraversa a settentrione il suo vasto territorio; però la maggior parte di esso trovasi nella zona torrida.

I suoi confini toccano tutti i paesi dell’America del Sud, eccettuato il Cile; infatti a nord il Brasile confina colla Repubblica del Venezuela, con la Guyana inglese, olandese e francese; ad est coll’Oceano Atlantico; al sud con la Repubblica orientale dell’Uruguay; ad ovest colle Repubbliche Argentina, Paraguay, Bolivia, Perù, Equador e Colombia; ma le sue frontiere non sono ancora in tutte le parti definitivamente tracciate. La sua superficie supera gli 8 milioni di chilometri quadrati.

Litorale Brasiliano.

Il Brasile ha, nella sua configurazione geografica, la forma approssimativa d’un triangolo mentre la costa, che si estende lungo l’Oceano Atlantico, in linea frastagliata, forma un angolo il cui vertice è al Capo S. Roque e discende obliquamente verso il sud sino al Rio Chuy. Le insenature sono però poco profonde; sicchè le grandi baje non abbondano; mentre i golfi, i buoni ancoraggi ed i porti sicuri sono numerosi.

A partire dal delta dell’Amazzone si trovano: la baja di S. Marco, di San Josè, di Tutoya. Al sud del Capo di San Roque si trovano il Porto di Natal ed il Porto di Parahyba. Da questo punto della costa fino a Bahia si estende un immenso banco di corallo, un’apertura del quale forma il porto di Pernambuco chiamato Recife (Scoglio) a causa di questa diga naturale che costituisce una rada sicurissima innanzi alla città, dandole un aspetto caratteristico.

Fra il capo di S. Antonio e l’isola di Itaparica s’apre la bella e vasta baja di Todos os Santos nello Stato di Bahia. A Sud di essa si trovano: la baja Camamù, la baja di Cannavieiras e Porto Seguro vicino al luogo dove la flotta di Pedro Alvares Cabral gettò l’ancora nel 1500.

Lungo la costa dello Stato di Espirito Santo vi sono la baja di S. Matheus e il Porto di Victoria di accesso poco facile; ma che è il più importante da Bahia a Rioe de Janeiro. Alte montagne di basalto, veri colossi di granito, rendono questa costa visibile a quindici e venti leghe lontano dal mare; lungo questo tratto s’incontrano molte isole, baje, insenature e porti, tra cui quello di Cabo Frio e l’isola dello stesso nome. Dal Cabo Frio all’entrata del porto di Rio de Janeiro la costa si dirige verso l’ovest, arenosa e sterile, fino alla Ponta Negra, separata dall’Oceano da una successione di lagune basse e morte.

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Veduta di Rio Janeiro. Avenida Beìra Mar.

All’entrata della splendida Bahia de Rio de Janeiro, numerose isole verdeggianti e ridenti rompono l’azzurro del mare; l’imboccatura, tra le montagne del Pane di Zucchero e Pico, è ampia quasi un chilometro e mezzo; ma il canale è assai profondo ed accessibile a qualunque nave o da pesca o di grande tonnellaggio. Questo golfo, che è considerato dai viaggiatori, dagli scienziati e dagli scrittori, una meraviglia del mondo, tanto da rivaleggiare in bellezza con quelli di Napoli e del Bosforo, e che il nostro De Amicis descrisse mirabilmente, è l’orgoglio dei Brasiliani i quali credono che esso sia il luogo dell’Universo dove la mano del Creatore sembra essersi dilettata di riunire un maggior numero di bellezze per incantare lo sguardo ed esaltare lo spirito degli uomini.

Al di là di Rio de Janeiro si stende la spiaggia di Marambaya, di accesso difficile e arenoso, in seguito alla quale vengono le insenature di Guaratiba, di Sepetiba, d’Angra dos Reis con un grande e magnifico porto e la baja d’Abrahào. Per tutta questa estensione la costa è molto accidentata, frastagliata da rocce gigantesche che formano i contrafforti della catena di montagne chiamata Serra do Mar tuffantisi quasi a picco nel mare.

Lungo il litorale s’ apre la baja di Santos, porto commerciale di prim’ordine.

Lungo la costa dello Stato di Paranà, si trovano le baje eccellenti di Paranaguà e d’Antonina; lungo quella di Santa Catharina i porti di Desterro o Florianopolis, Itajahy, San Francisco e Laguna. All’estremo sud, la costa è bassa, sabbiosa e in diversi punti d’accesso, non solo difficile, ma anche impossibile.

La barra di Rio Grande do Sul, formata di sabbie mobili, che esigono un servizio permanente e vigile di pilotaggio, da accesso alla immensa laguna Dos Patos (Laguna delle Anitre). Dalla barra di Rio Grande sino al fiume Chuny, che determina il confine coll’Uruguay, la costa è sabbiosa, fredda e disabitata, formata anche da dune basse e completamente sterili.

Capi — Isole.

Siccome la costa del Brasile è poco frastagliata essa non presenta nessuna penisola; ma solo pochi capi e molte punte e promontori. Nell’estremo Nord trovasi il Capo d’Orange, e più a sud di esso e precisamente a nord-est dell’imboccatura del maestoso fiume dell’Amazzone il capo del Norte. Nello Stato di Rio Grande do Norte, trovasi il capo S. Rocco, nello Stato di Parahyba il capo Branco e in quello di Pernambuco il capo St. Agostinho.

Lo Stato di Rio de Janeiro ha quelli di St. Thomé e Frio; poi all’estremo sud si trovano i capi di Santa Martha Grande e di Santa Martha Pequena nello Stato di Santa Catharina.

Le isole brasiliane dell’Oceano sono quelle del gruppo di Fernando de Noronha, a 75 leghe dal capo di S. Roque e la piccola isola della Trinìdade, con gli isolotti adiacenti di Martin Vaz a 900 miglia della costa dello Stato di Espirito Santo. Tutte le altre isole del Brasile si trovano a poca distanza dal litorale; moltissime, paludose e basse, se ne trovano nelle acque oceaniche dell’Amazzoni ed anzi, alla foce del gran fiume, si trova quella di Marajó (5.328 kmq.) che è marittima, nonostante sia circondata dall’acqua dolce.

Seguendo la costa verso il sud, notiamo l’isola di Maranhão su cui trovasi la città di S. Luiz, capitale dello Stato di Maranhão; quella d’Itamaracà nello Stato di Pernambuco; d’Itaparica, Bon Jesus, Cajahyma, in quello di Bahia; di Frades, Guaraparin, Rasa, Franceza nello Stato d’Espirito Santo; e le isole: Grande, Sant’Anna, Marambaia Comprida nello Stato di Rio Janeiro. All’entrata della baja bellissima vi sono diverse isole ed isolotti che formano come un arcipelago ridente da cui sorgono boschi d’aranci e di palmizi, enormi gruppi di bambucs, alberi secolari, magnifici per i fiori dai colori vivaci, tutta una flora esuberante in profumo e bellezza, radicata nella pietra viva che si riflette sullo specchio lucido dell’acqua. Fra queste isole, quella di Rasa (Faro) Tijucas Redonda, la grande isola di Governador, quelle di Paquetà das Cobras, Villegagnon e Lage (fortezze), di Enxadas (Scuola Navale), di Bon Jesus, ecc., sono le più importanti.

Sul litorale dello Stato di San Paulo si trovano le isole di S. Vicente, Santo Amaro, S. Sebastião, Cananéa, Porcos e Castello; su quello di Santa Catharina le isole di S. Francisco dos Remedios do Arvoredo e di Santa Catharina ove trovasi la capitale dello Stato; e nello Stato di Rio Grande do Sul si trovano le isole di Barba Negra, di Cangustù e dos Marinheiros.

Orografia.

Quasi tutto il Brasile forma un vastissimo altipiano da 300 a 1000 metri d’altezza, con vallate e pianure attraversate da numerosi corsi d’acqua ed ostruite qua e là da rapide. Le più alte montagne sono ad Èst, presso il litorale e nel centro, dove esse formano due grandi catene separate dai bacini di S. Francisco e del Paraguay.

La Serra Oriental o do Mar segue appunto la costa dell’Atlantico dopo il Capo S. Roque e va a perdersi nel Rio Grande do Sul.

Essa si suddivide in Serra do Mar e serra da Mantiqueira le cui cime culminanti sono: il gruppo chiamato, per il suo aspetto, dos Orgãos (degli organi) (2332 m.) a Nord della baja di Rio de Janeiro e l’Itatiaya (circa 3000 m.) nella serra da Mantiqueira e che è il punto più elevato dell’intero Brasile.

La Serra Central è formata invece dal gruppo delle montagne di Goyaz e d’i Minas Gerães, all’ovest del fiume di S. Francisco e si lega alla catena orientale per mezzo d’una ramificazione che si trova in Minas Gerães detta Serra dos Vertentes perchè forma il vero spartiacque del paese. Questa Serra Central comprende due catene: quella di Canastra e di Matta de Corda i cui punti culminanti sono i Montes Pyreneus (2392 metri).

Le vaste pianure, molto accidentate ed irrigate da innumerevoli corsi d’acqua, corrispondono ai bacini dei fiumi Amazonas, San Francisco, Parahyba e Paranà.

Idrografia.

Forse nessun paese del mondo possiede, come il Brasile, un sistema idrografico così completo e così vasto. Il maggior fiume del mondo, l’Amazonas, è navigabile per un’estensione di 5400 km. e la sua larghezza a Manáos, capitale dello Stato di Amazonas, raggiunge quasi quella del nostro Adriatico, sicchè alla città può arrivare qualunque bastimento transatlantico. I suoi affluenti sono lunghissimi, navigabili per un’estensione media di 100 km. l’uno; ed importanti come i più grandi fiumi d’Europa.

Sulla sponda sinistra o settentrionale del fiume immenso, si gettano l’Içà, lo Japurà, il Rio Negro; ognuno dei quali ha più di 1000 km. di corso; il Trombetas ed il Parù con più di 500 km.; lo Jary, lo Jamundà e l’Araguary con le terribili pororocas (riflussi).

Sulla sponda destra o meridionale, partendo dalla frontiera peruviana, l’Amazzone riceve altri affluenti, anch’essi importantissimi per il volume delle loro acque; così lo Javary, lo Jutahy, lo Juruà, il Purùs, il Madeira, il Tapajoz, lo Xingù ed il Tocantins. Molti di questi affluenti hanno un corso che raggiunge 1500 e 3000 chilometri.

Il fiume S. Francisco, che nasce nelle montagne di Minas Gerães, ha un corso di circa 3000 chilometri navigabili ed anche i suoi affluenti principali sono navigabili per un lunghissimo tratto: così il Rio Preto, il Rios das Velhas a destra e il Paracatù a sinistra. Altri fiumi navigabili del Brasile sono: il Parnahyba, il Mamorè, il Rio Formoso, lo Jequitinhonha, il Mucury, il Tijucas e la Ribeira d’Ignape.

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Cascata di S. Maria del fiume Iguassù nello stato del Paranà.

Il Paraná, affluente del Paraguay, è anch’esso una delle maggiori arterie dell’America del Sud e non bagna solo il Brasile, ma anche il Paraguay, l’Uruguay e la Repubblica Argentina, formando notevoli cateratte chiamate Sete Quedas che sono maggiori e più interessanti di quelle del Niagara. I suoi principali affluenti sono sulla riva sinistra: il Tieté, il Paranapanema, lo Ivahy e l’Iguassù, dove si ammira il celebre salto di Santa Maria uno dei più belli del mondo.

Innumerevoli altri fiumi, senz’essere affluenti di questi tre principalissimi, scorrono per il vasto territorio brasiliano e lo irrigano abbondantemente.

Anche i laghi e le lagune si trovano in gran numero sparsi in qualunque regione del Brasile; nello Stato di Amazonas sono importanti i laghi di Amapà, El Rei, Umbugnara, Saracà, Maenory, Amanà e Andirà; nell’isola di Marajo quelli di Aman e Avary; nello Stato di Bahia v’è la laguna di Cachoeira; in quello di Espirito Santo si trovano le lagune di Juparananan e in quello di Rio de Janeiro le lagune Acarnama, Maricà, Saquarema, Piabamba, Feia, Jacarepaguà e Rodrigo de Freitas. In Rio Grande si trovano oltre quella delle Anitre, la Mirim e Mangueiras e nello Stato di Matto Grosso quelle di: Uberaba, Jany, Mandioré e Bahia Negra.

Il clima.

Il Brasile, per la sua vasta superfìcie, presenta condizioni di clima differentissime, secondo le regioni; anzi si può dire che comprenda tutti i climi meno gli estremi; perciò gli Europei possono facilmente scegliere il luogo più adatto. Si distinguono generalmente 3 zone: tropicale, sottotropicale e temperata. La prima comprende gli Stati dell’Amazzone, del Parà, di Maranhão, di Piauhy, di Cearà, di Rio Grande do Norte, di Parahyba e di Pernambuco. La temperatura media di questa regione è di 25 gradi. Sulla pianura di Matto Grosso l’aria è asciutta e il clima perfettamente sano. Nell’Amazzone superiore invece il clima è caldo ed umido e, specialmente sulle rive di alcuni suoi affluenti, infierisce la malaria.

La vastissima zona sottotropicale comprende gli Stati d’Alagoas, di Sergipe, del litorale dello Stato di Bahia, gli Stati d’Espirito Santo e di Rio de Janeiro, parte del litorale di San Paulo e la costa orientale di Minas Gerães. Il clima degli Stati di Alagoas, di Sergipe e del litorale, di quello di Bahia è sanissimo; la temperatura sulle terre basse è da 23° a 26° e sulle alture da 18° a 21°; il litorale degli stati di Sergipe e di Bahia ha la fama d’un clima dolce come anche è estremamente dolce quello di molti punti dello Stato di Rio de Janeiro e queste ottime condizioni di temperatura, che possono sorprendere per la latitudine dei luoghi ove esse si riscontrano, si spiegano coll’altezza elevata di questa regione. In tutto il sistema orografico della Serra do Mar e della Serra di Mantiqueira s’incontrano piani estesissimi in cui il clima è eccellente e la salubrità perfetta e il cui terreno è adattato a far prosperare tutte le culture e gli alberi fruttiferi d’Europa.

Nello Stato di Minas Gerães, la cui salubrità è proverbiale, non è raro vedere, in inverno, discendere il termometro sotto lo zero e la neve ricoprire le pianure. Dunque, dato che il Brasile possiede tutti i climi e che per la salubrità di alcune sue regioni da qualche anno a questa parte i suoi governanti hanno le massime cure, si può concludere che se è vero che nella regione tropicale l’Europeo debba evitare alcune località malariche, che ancora esistono, e per le altre osservare le regole dell’igiene e della temperatura che s’impongono in tutti i paesi caldi ed umidi; esso si acclimata però prestissimo in tutte le province della zona sottotropicale.

In quanto alle provincie del Sud, l’europeo, nella zona temperata, non ha neppur bisogno di’acclimatarsi perchè il loro clima rivaleggia coi migliori d’Europa.

Bellezze naturali del Brasile.

La foresta.

Il Brasile, vasto quasi come tutta l’Europa, è coperto intorno all’immenso bacino dell’Amazzone, sulle rive del Mucury e del Rio Doce e nello Stato di Espirito Santo, da foreste maestose che offrono uno degli spettacoli più imponenti della natura tropicale.

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Bahia — Veduta della città alta.

Il vecchio Léry, uno dei primi viaggiatori del secolo XVI, quando contemplò le vergini foreste dei dintorni di Rio Janeiro, proruppe commosso in questa esclamazione, piena d’entusiasmo e di semplicità: «Su, su, anima mia, bisogna che tu esprima la tua gioia». E tutti i visitatori che conobbero più tardi la misteriosa oscurità degli alberi giganteschi, del fogliame cupo di quelle foreste primitive, ripeterono il saluto entusiastico del vecchio, e provarono commozioni incancellabili. In queste meravigliose ed immense foreste vergini, che coprono gli otto decimi del Brasile, alberi enormi dal legno prezioso, arboscelli sottili come giunchi, palme delicate, parassiti d’ogni forma, orchidee preziose, felci eleganti, ogni essere vegetale, insomma, dal filo d’erba più tenue alle piante gigantesche, (nel Rio Branco è stato osservato un albero che, intorno ai rami, misura 250 metri di circonferenza) tutto è ammassato nella più strana confusione. Infatti è difficilissimo trovare vicine due piante uguali e se ne possono contare fino al migliaio, una diversa dall’altra, su un chilometro quadrato di superficie. Da princìpio l’occhio non distingue nella foresta forme precise; ma masse dense, che sembrano torri, muraglie, piramidi, colonne, gallerie di verdura, templi formati da alberi enormi, da tronchi intrecciati strettamente fra loro, da piante parassite che s’allacciano ed inerpicano ovunque per succhiare la vita, formando, nel loro anelito verso il sole, boschi su boschi, foreste su foreste. E ciò che più colpisce è lo spettacolo che queste piante dànno d’una lotta instancabile per superarsi d’altezza, per sorpassare le cime delle altre, per conquistare, senza pietà del vicino, l’aria e la luce.

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L’abete nel Paranà.

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I bambù del Giardino Botanico a Rio Janeiro.

L’esempio più vivo di questa lotta è dato dalle liane in genere, le quali rivaleggiano con le palme nel costituire una delle grandi attrattive della foresta. Il tipo più curioso di queste liane, comune nei dintorni della città di Parà, (capitale dello Stato di Parà, nel’Amazzonia) è il cipo matador; cioè la «liana assassina». Essa ha la parte inferiore dello stelo troppo debole per sopportare il peso della parte superiore, perciò cerca un appoggio sopra un albero d’un’altra specie e, a differenza di tutti gli altri rampicanti, si slancia contro quello, mentre il legno dello stelo cresce applicandosi su uno dei lati del tronco come gesso da modellare e a destra e a sinistra caccia due rami che si sviluppano rapidamente e, come due braccia, stringono il tronco fino a congiungersi e confondersi insieme nella stretta crudele. Dalla loro congiunzione spuntano, dal basso in alto, ad intervalli quasi regolari, altri due rami che costituiscono un nuovo anello della ferrea catena, poi un terzo, un quarto e così via sempre più in alto, finché lo strangolatore giunge al suo massimo sviluppo, sulla cima della vittima, per spandere al sole, in segno di trionfo, le sue foglie mescolate con quelle dell’albero sacrificato che, col tempo, finisce per soffocare. Allora si vede lo strano spettacolo del parassita egoista stringere tenacemente fra le sue braccia il tronco esanime e decomposto finché, quando per la linfa di esso s’è coperto di fiori e di frutti ed ha riprodotto e disseminato la sua specie, cade colla sua vittima.

Ciò che è proprio delle foreste tropicali, per cui esse differiscono dal paesaggio boscoso europeo, è l’equilibrio perfetto e la maestosa semplicità con cui, in un giorno solo, compendiano in sè le diverse stagioni. All’alba, la natura intera si risveglia, spuntano nuove foglie, sbocciano nuovi fiori; gli uccelli, gli insetti ed i mammiferi che, anch’essi come gli alberi, per desiderio di luce tendono continuamente ad arrampicarsi, pare rinascano alla vita e all’attività.

Nell’ora massima del calore, cioè verso le due pomeridiane, si fa un gran silenzio turbato di tanto in tanto dal falsetto stridulo della cicala, nascosta fra gli alberi. In quest’ora le foglie che, sull’alba, erano umide e fresche, piegano flosce ed appassite; i fiori perdono i loro petali, mentre gli Indiani ed i mulatti sonnecchiano nelle loro amache. Verso sera ricomincia la vita e, tra i cespugli e fra gli alberi e da angoli remoti, da recessi verdi e cupi, rimbombano canti, gridi e mille rumori strani. Nell’alba nuova il sole s’innalza sul bel cielo puro e la natura ricomincia rigogliosa a concentrare, nell’esuberanza magnifica della vita di poche ore, il ciclo di più stagioni.

La fauna delle foreste vergini non è così numerosa come si potrebbe credere; anzi presenta povertà di mammiferi terrestri e questi sono ben piccoli ed hanno la caratteristica di arrampicarsi sulle piante: così le scimmie e perfino i gallinacei che hanno le dita disposte in modo da potersi appollajare, ed infatti si scorgono sempre sulle cime degli alberi. Nelle foreste vergini non pullulano, come molti credono, i rettili e gli insetti, quindi è esagerata la paura che hanno i novellini di camminare ad ogni passo sopra rettili velenosi; tanto più che, quelli che vi sono, appartengono in gran parte a specie innocua. Una caratteristica vantaggiosa della foresta vergine è quella di non essere, in generale, infestata dalle zanzare, nè da altri ditteri perniciosi, ed anzi l’assenza di questo flagello, la relativa freschezza dell’aria, la maestà del silenzio e dell’ombra, rendono grata la bellezza meravigliosa della sua solitudine selvaggia. Gli uccelli sono le più deliziose creature della foresta e quelle che, nel silenzio solenne, portano garriti e trilli di gioja. Anch’essi vivono sulle cime più alte degli alberi per avviarsi verso la luce, e miriadi di farfalle variopinte, e di piccoli uccelli mosca, brillanti questi come giojelli, spiegano ai raggi del sole la magnificenza dei loro colori. Su tutti gli uccelli campeggia, per i giri larghi e maestosi, la magnifica Aquila delle Guiane, quasi tutta nera, con un ciuffo bianco sul capo; ma è anche molto bello il Salvia, del genere dei tordi, un uccellino nerissimo che merita un ricordo speciale perchè, cosa non’ comune laggiù, esso canta un poco, e s’è conquistato il nome pomposo d’usignuolo dell’Amazzone. Più in alto, da certe specie di borse dondolanti dai rami più sottili di alberi altissimi, scappa di tanto in tanto il Sapiju molto grazioso pel colore giallo e nero delle piume. Quelle borse sono i nidi che esso costruisce per mettere al riparo dai serpenti i suoi piccoli.

Al minimo rumore prodotto dal passaggio dell’uomo nella foresta, si levano dagli alberi torme di pappagalli di tutte le specie, di piccole cucorite verdi dal volo rapido e tremulo, come quello delle farfalle, e coppie di Are, bellissime per la vivacità dei colori, e i Tigana, d’un bel marrone e con un grazioso ciuffo. Questi ultimi hanno qualche cosa del fagiano e del pavone, ed essendo abituati a non esser presi di mira dal cacciatore, non si spaventano molto neppure delle fucilate. Gli uccelli, che dànno però un aspetto caratteristico al paesaggio, sono i Trampolieri, fra i quali l’Ardea candidissima, le cui penne sono tanto ricercate, l’Ardea cinerea di forme elegantissime e l’Ibis rubra, che appare come una viva lìngua di fuoco guizzante, simile ad una meteora, nel verde della foresta.

L’Amazzone.

L’Amazzone viene, per la lunghezza del suo corso, dopo il Mississippi dell’America del Nord ed il Nilo dell’Africa; ma, per la massa delle sue acque, è il maggior fiume del mondo.

Orellana (1539-1540), uno dei suoi primi esploratori, fra altre fantastiche fole, narrò di aver dovuto combattere contro eserciti di Indiane che, nei canotti, o sulle rive, lo perseguitavano con frecce avvelenate; da qui nacque il rapporto fra le Amazzoni dell’antica leggenda classica e le guerriere del fiume americano. Questo attraversa quasi tutta l’America meridionale, nella sua maggior larghezza, con un percorso, tra 2800 e 3000 miglia e con una profondità media di 75 a 100 metri; presso la frontiera del Perù e all’imboccatura, la profondità del fiume maestoso giunge a 185 metri, mentre in generale le sue acque si espandono liberamente su 2500 metri di larghezza e perfino su 5000 metri; sicchè in vari punti e alla foce riesce spesso impossibile, come in pieno mare, scorgere contemporaneamente le due sponde del «re dei fiumi». Esso è stato paragonato spesso ad un «mare vivente» ed infatti è un vero mare, con le sue onde e le sue tempeste; tanto che alla vista delle acque grigie, scendenti rapidamente verso l’Atlantico, si è tentati a chiedersi se l’Oceano stesso non gli debba la sua esistenza.

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Navigazione sul fiume Amazzoni.

All’epoca delle piene questo fiume gigantesco presenta un aspetto grandioso e forma un vero mare interno, di straordinaria profondità: a partire dal mese di febbrajo, la fusione delle nevi sulle Ande e le piogge torrenziali innalzano le acque fino a 17 metri al disopra del loro livello più basso, e la corrente, raggiunta la velocità di 24 chilometri, sgretola le sponde da cui si staccano frane enormi, che sprofondano nell’acqua, trascinando con sè alberi ed animali, e formando veri «giardini galleggianti» della superficie d’una ventina di are: isole mobili che trasportano uccelli accoccolati tra i rami, rettili attorcigliati ai tronchi; mentre masse d’alberi, divelti dalle foreste del corso superiore, sfilano galleggiando sulla corrente, resistono alla violenza dell’onda, oppure scompajono sommerse, ed enormi tronchi si incrociano, si adagiano, s’accumulano traverso alle sponde, oppure colmano gli approdi, distruggendoli.

Queste frane rendono la navigazione pericolosa per le piccole imbarcazioni; ma formano laghi, isole e canali laterali, che si congiungono tra loro e allacciano il gran fiume coi suoi affluenti; sicchè ne risulta una fitta ed intricata rete di canali, che copre tutta la valle e che, se non fosse interrotta da rapide e cascate, permetterebbe di accedere, per acqua, in qualunque punto dell’interno. Questo inconveniente però può essere corretto facilmente dall’arte; perchè la popolazione cresca e lo sfruttamento delle terre e della foresta si estenda, si dovrebbero completare le vie acquee con strade e ferrovie, stabilire rapide e comode comunicazioni con tutto l’interno. Ma anche ora, per l’estrazione della gomma, fatta su grande scala nei boschi del bacino dell’Amazzone, gran parte dei canali navigabili sono percorsi da navi ed imbarcazioni d’ogni genere. Tutti questi canali non sono utili solo ai mercanti di gomma, ma sono e dovranno divenire sempre più le fonti principali di vita commerciale di molti paesi che, per essi, sono posti in comunicazione coll’Atlantico e tra di loro. Gli Indiani li chiamano igarapés cioè «sentieri dei canotti». Spesso nei canali più accidentati le maree sono molto forti e vengono accompagnate da un fenomeno grandioso detto: «Pororocas». Dopo che le acque hanno raggiunto il minimo livello della marea, si vede giungere da lontano un’immensa onda che avanza a grande velocità, accompagnata da fragoroso rumore; una o due altre la seguono, e sulla spiaggia si precipitano masse enormi di acqua, finché, in brevissimo tempo, il livello sì eleva a quello dell’alta marea.

Nel vastissimo bacino dell’Amazzone non solo la flora è d’una straordinaria ricchezza, in alberi di legno pregevolissimo, in piante medicinali ed in frutta che vi crescono splendidamente e in numerose piante che dànno tinte, gomma e resine preziose, ma anche la fauna, che ha pesci di ogni grandezza e due volte più vari che nel Mediterraneo e nello stesso Oceano Atlantico.


CAPITOLO III.

 

Etnografìa — Usi e Costumi
Storia della colonizzazione italiana nel Brasile.

 

La popolazione del Brasile, calcolata nell’ultimo censimento, del 1906, in 21.461.000 abitanti, oggi s’aggira certamente fra i 23 e i 25 milioni. Essa è composta dagli indigeni, dai Brasiliani propriamente detti (cioè dai discendenti dei coloni europei e specialmente portoghesi), dai meticci, nati dall’incrocio della razza bianca coll’indiana, e dai negri, d’origine africana, nati nel Brasile dai negri importativi per lo sfruttamento del suolo e appartenenti ai più bei tipi della loro razza.

Dopo l’abolizione della schiavitù, il numero dei negri è notevolmente diminuito; mentre gli indigeni tendono a scomparire. Oggi, questi si trovano, in maggior numero, negli Stati dell’Amazzone e del Parà.

La città più popolata del Brasile è Rio de Janeiro, che, nel censimento del 1906, contava 811.400 abitanti; vengono in seguito San Paolo, Bahia e Pernambuco.

Indigeni.

Gli indigeni brasiliani sono gli ultimi discendenti delle antiche tribù dei Tupys, degli Omagnas, dei Panos, ecc. Le varie discendenze hanno costumi vari, parlano lingue completamente differenti; ma si comprendono fra loro mediante una lingua generale, d’origine Tupy.

I coroados, presso il Paraguay, vivono in piccole comunità, passando quasi tutta la vita su piroghe; s’avvicinano al tipo caucasico ed hanno uomini robusti e donne bellissime.

I muras sono nomadi e non s’intendono affatto d’agricoltura. Alcuni di essi sono bravissimi pescatori, insuperabili specialmente nella pesca delle tartarughe, che afferrano a nuoto e tuffandosi nell’acqua, prendendole per le zampe. Hanno l’abitudine di farsi inalazioni di certe piante, abbracciandosi a due a due e soffiandosi nelle narici l’uno contro l’altro i vapori aromatici, e spesso, durante quest’operazione, cadono svenuti, altre volte morti, dopo grida e gesti frenetici ed una filastrocca disordinata di parole insensate. Altre volte si uniscono a coppie e si staffilano a sangue, come i fachiri dell’India. Il loro corpo è coperto da pittoreschi tatuaggi; alcuni di essi non riguardano il cane come animale domestico, mentre altri hanno tale familiarità con le bestie delle foreste che fanno, nei loro villaggi, veri giardini zoologici, e non è raro il caso che qui le tigri sieno inoffensive e che, presso le capanne, si vedano grossi serpenti in posizione tranquilla e vigile di guardia.

I carayas osservano così rigorosamente la fedeltà coniugale che bruciano le donne colpevoli; non solo, ma hanno un’istituzione speciale, unica al mondo, per mantenere l’ordine nelle famiglie. Essi nominano cioè un marito delle vedove, provvedono, in comunità, al suo mantenimento, lo dispensano da tutti i lavori e perfino dalle guerre e dalle spedizioni.

I guaycurùs sono esperti cavalieri, rubano le donne e i fanciulli, combattono come beduini e, credendosi il primo popolo della terra, fanno relazione con gli stranieri solo illudendosi di riceverne il tributo di vassallaggio; essi si distinguono in nobili, plebei e schiavi e non avviene mai che un nobile sposi una donna che non sia della sua classe.

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Paesaggio indigeno nello Stato del Parà.

I mundurucùs alti, forti, muscolosi, di pelle chiara, usano tatuaggi che variano secondo i gruppi e le tribù; annettono tanta importanza a questa pittura del corpo che, per concordarsi nel disegno, riuniscono il consiglio di famiglia e spesso, per l’esecuzione, occupano dieci anni. I vecchi tatuati ispirano ai giovani profondo rispetto. I mundurucús sono scrupolosi della fede giurata, hanno anche in tempo di pace un’organizzazione militare e, durante le guerre, attaccano i nemici del giorno, al rullo del tamburo, su cui regolano i propri movimenti. I valorosi, feriti sul campo di battaglia, o le vedove o i figli degli eroi, ricevono dal capo della tribù una decorazione chiamata pariuate-ran (pariuate = nemico; ran = cintura) cioè la cintura del nemico, poichè è costituita da una cintura di cotone tessuto e ornata con i denti strappati alla bocca del nemico.

Brasiliani — Meticci.

I Brasiliani, propriamente detti, sono i discendenti di quei coloni portoghesi, che nel 1822 si dichiararono indipendenti dalla madre patria. Ma pochi di essi sono di pura discendenza europea poichè, per molto tempo, gì’immigranti venuti dal Portogallo erano quasi esclusivamente di sesso maschile: di qui il loro incrocio colle razze indigene e coi negri, che ha facilitato molto l’acclimatazione dei portoghesi nel Brasile e ha originato il tipo del meticcio-brasiliano, la più felice fusione etnica dei conquistatori coi conquistati.

Le nozze avventurose d’amore, contratte nel 1512, dal portoghese João Ramalho sull’altipiano di Paranapiacaba su cui doveva sorgere San Paulo, con la bella Bartyra, figliuola dell’indio Tebirecá, capo di tribù, sono la fonte fresca da cui scaturì la vita della nuova città e della razza meticcia, che conquistò per la corona portoghese le terre sconosciute.

Uno storico afferma giustamente che, se l’elemento bianco europeo e quello nato nel paese ebbero la supremazia, la popolazione nascente però sorse coi tratti caratteristici del sangue indiano. Infatti, dall’incrociamento delle due razze, nacquero i meticci o mamelucos (figlio di un bianco e d’una indigena) i quali per l’energia, per il coraggio, per l’ardore d’iniziativa e la forza di resistenza al lavoro, alle privazioni, all’imprevisto, scopersero e conquistarono, nell’epoca coloniale, gli estesi altopiani del Brasile. Il bianco europeo, figlio d’una civiltà un poco stanca, aveva ricevuto dalla razza indiana, attiva e fiera, nobile, intelligente, ardita e forte, la linfa d’una nuova giovinezza.

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Gaucho riograndese,

Anche i cafuzes o caboré (figli di selvaggi e di negri) hanno le doti dei mamelucos, come gli stessi difetti, fra cui emergono l’imprevidenza e la spensieratezza del futuro. I meticci brasiliani contribuirono e contribuiscono efficacemente alla formazione della ricchezza pubblica, specialmente di quella che deriva dallo sfruttamento della natura. Sono meticci i vaccari, sobri, disinteressati, sani e robusti; i canottieri, arditi ed intelligenti che, su tronchi leggerissimi e mal connessi, affrontano l’Oceano o le correnti di fiumi impetuosi per escursioni lunghe ed arrischiate; i cearensi, che sopportano i climi più difficili della zona torrida e i più duri lavori; sono anche meticci i contadini indipendenti e forti; i gauchos (figli della pampa) che errano continuamente a cavallo, infaticabili, robusti e destri, pronti all’avventura, audaci ed astuti. Essi hanno le loro leggende, le canzoni che ripetono a suon di viola ed un linguaggio speciale, elemento principale della lingua brasiliana, la quale, possedendo già un vocabolario e costruzioni sintatiche distinte e caratteristiche, potrebbe un giorno distinguersi dalla portoghese, ora lingua nazionale. I meticci, per la loro intelligenza sveglia, seguono e fecondano il progresso in ogni ramo dell’attività sociale e, negli Stati del Sud, per esempio a S. Paolo, sono i più energici ed intraprendenti, sì da formare l’avanguardia della civiltà brasiliana.

* * *

La qualità migliore del carattere brasiliano, quella che lo rende oltremodo simpatico, è la cortesia sincera, l’ospitalità e la generosità.

I viaggiatori rimangono colpiti e commossi della accoglienza squisita, affabilissima, che li accarezza con mille premure e fa dimenticare loro per qualche tempo la mancanza della propria casa. Nell’interno del Brasile gli alberghi sono rari; ma ogni casa a cui si picchi diviene subito la propria famiglia; anzi, nei palazzi dei ricchi, si trova sempre una stanza, pronta per accogliere l’ospite, detta «quarto dos ospedas» cioè stanza degli ospiti.

Il Brasiliano è, in generale, sobrio e la sua mensa è molto semplice. Tra i piatti nazionali v’è la feyoada, fatta con farina di manioca o di granturco, che forma la base dell’alimentazione, e che con le uova, la carne secca, il bacalhão o merluzzo secco, eccezionalmente il majale fresco, e la cacciagione, — il tutto inaffiato d’acqua pura, — costituisce il vero pranzo brasiliano. Per il quadretto completo di questo aggiungete le frutta: aranci deliziosi, banane squisite, le jaboticabas dal sapore fragrante, ecc.; il caffè, la cachaça (acquavite di canna da zucchero), dolci deliziosi fatti con le noci di cocco ed essenza d’aranci amari. Gli stuzzicadenti vengono usati quasi come la forchetta.

In quanto a conserve e vini, bisogna essere ricco e goloso per permettersi questo lusso poichè essi sono importati dall’Europa e, come le scatole di sardine, di piselli, di fagiolini, costano moltissimo.

Per lo straniero, il quale voglia nutrirsi all’europea, la vita costa straordinariamente, e tanto più quando egli s’allontani dalla costa verso l’interno. Così pure sono costosissimi tutti i prodotti manifatturati dall’Europa: stoffe, vestiti, cappelli, stivali, ecc.

I Brasiliani si levano di buon’ora, specialmente a Rio de Janeiro, dove i tram elettrici, rapidi e comodi, chiamati bonds, incominciano a circolare prima dell’alba, percorrendo in tutte le direzioni le principali vie della città e allacciandole coi sobborghi più lontani. Alle nove si fa colezione e alle sedici si pranza; ma i negozi rimangono aperti tutto il giorno e alla sera si chiudono molto tardi. I ricchi negozianti, gli uomini politici, gli industriali vanno di sera a godere il fresco a Petropolis, città ridente ed elegantissima, situata a qualche chilometro da Rio, dove quelli del gran mondo posseggono ricchi villini. Anche i commercianti piccoli e medii vanno sulla sera a fare una passeggiata in tram lungo la «riva do mar» sulla spiaggia di Botafogo, bella come la «Villa Nazionale» della nostra Napoli, prolungantesi, per circa dieci chilometri, fra gli splendori ed i profumi del tropico.

Le signore brasiliane escono raramente a piedi, e perciò nelle vie gli uomini sono in gran maggioranza ed il bel sesso è rappresentato solo dalle straniere e dalle donne di colore. Pure, nel pomeriggio e molto prima di sera, si possono vedere le signore brasiliane alle finestre, da cui seguono il movimento della via; anzi questa è la loro distrazione favorita.

Lo straniero, giunto appena al Brasile, se vuoi conoscere i tipi più curiosi e le più strane produzioni del paese, deve andare al mercato; là vedrà formose negre e mulatte vestite pittorescamente di cotonina colorata e col capo ricoperto da stoffe vistose. Esse vendano fiori, legumi, frutta, uccelli dalle piume iridescenti, ogni specie di pesci, molto diversi dai nostri, e ghiottonerie speciali, che sono la gioja dei palati golosi e... fortunati.

* * *

Moltissimi, pur riconoscendo i pregi veramente salienti e simpatici del carattere brasiliano, l’accusano di fiacchezza e di indolenza per le grandi iniziative.

Ciò forse è vero poichè la terra, meravigliosamente prodiga, quasi li dispensa da una diligenza vigile e costante; pur tuttavia, alla minima occasione, il brasiliano s’entusiasma, e s’abbandona nelle idee e nell’opera all’eroismo e a quella foga impetuosa e geniale che è una grande virtù dei popoli latini e meridionali.

I negri.

I negri africani, importati nel Brasile, fin dai primi tempi della sua scoperta, furono i più utili e disinteressati lavoratori e colonizzatori del suolo brasiliano.

Durante le guerre brasiliane i negri combatterono come servi e diedero tale prezioso contributo di eroiche energie, che nel Brasile non vi fu mai l’intollerante preconcetto del colore; anzi, fin dai tempi coloniali, il Re Pedro I, nel 9 maggio 1731, decretava che il colore non costituiva un ostacolo all’uomo per rivestire la carica di procuratore della Corona e, durante il regno di Don Pedro II, molti discendenti di africani meritarono decorazioni e titoli di nobiltà.

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Un preteso tipo della foresta.

Dopo l’abolizione della schiavitù, la popolazione negra, è molto diminuita. Nelle maggiori città brasiliane il negro è spesso cameriere; ma egli si fa specialista di una data parte del suo lavoro, così non è raro che i cuochi e le cuoche vadano nelle case la mattina e la sera solo nelle ore destinate alla preparazione dei pasti per andarsene subito dopo averli serviti. Il negro, nonostante la lontananza dal suo paese d’origine nonostante lo influsso demoralizzatore della schiavitù e quello turbatore d’una brusca libertà, ha conservato i lineamenti caratteristici della sua razza e un’imperturbabile gajezza. Anche sotto il giogo della servitù non cessò mai di ridere, di cantare e di ballare. Uno spettacolo caratteristico è appunto il ballo dei negri al chiaro di luna. Dopo una dura giornata di lavoro nei viali cocenti delle estensioni piantate a caffè, quando la notte reca con le stelle la freschezza umida dei tropici, che da la sensazione del freddo, i negri si riuniscono davanti alle case, intorno ai musicisti, per eseguire i goffi balli africani, di cui non hanno ancora perduto il ricordo. La musica ed i canti sono tristi e monotoni e gl’istrumenti che accompagnano le voci sono tamburi fatti con le scatole di conserva, adattatissime per produrre un fracasso assordante. Quelle ombre danzanti al chiarore del ciclo stellato, quei suoni lugubri, quei corpi atletici in movimento fantastico e lento, quelle grida e quella gioja, strane per il nostro gusto raffinato, formano un quadro pittoresco, indimenticabile.

Il negro conduce una vita molto frugale ed igienica; infatti nelle regioni interne del Brasile egli è l’uomo forse più pulito; alla sera non dimentica mai di lavarsi i piedi: igiene elementare, ma importante. Dopo la liberazione della schiavitù, il negro ha avuto una sola idea: quella d’imitare i bianchi a cui, per legge, è divenuto uguale. Alla domenica il lavoratore negro va a passeggio in redingote e cravatta bianca, non importa se a piedi nudi, fiero come un conquistatore, mentre per tutta la settimana fu appena vestito o ricoperto da un semplice e indispensabile pezzo di stoffa.

La colonizzazione italiana nei Brasile.

Quasi contemporaneamente alla scoperta delle immense regioni brasiliane, incominciò l’opera paziente ed indefessa della conquista di quelle terre, e tutte le nazioni europee, come spinte da un imperioso bisogno di vivere e d’espandersi oltre i confini della patria, concorsero a popolare le vergini foreste e le campagne deserte che, per merito di fatiche e sacrifici, son divenute oggi città fiorenti e centri di industrie e di commerci. Gli Italiani, anche se giunti in ritardo, dopo i Portoghesi, gli Olandesi e gli Spagnoli, hanno sollecitato il più diretto sfruttamento di quel paese, allora quasi interamente selvaggio, e l’opera di essi è stata, per il Brasile, il fulcro della grande leva della sua potenza economica. L’emigrante italiano non ha dato al Brasile solo l’uomo-macchina, lavoratore manuale della terra e di costruzioni, ma energie intelligenti, virtù d’iniziativa e luce di arte e di progresso; sicchè la lontana colonia nostra, formatasi a poco a poco e divenuta su quelle terre il grande esercito di lavoratori, che popola oggi città, villaggi e «fazendas», convertì il suolo incolto in zolle prosperissime di ricchezza, costrusse templi e palazzi, ed ancora lavora e produce, in tutte le forme dell’attività umana; e, nelle arti, nelle industrie, n’elle professioni, nel commercio, rese e rende onorato e rispettato il nome d’Italia. I primi Italiani che si diressero verso le spiagge del Brasile furono i profughi politici, che espatriavano passando per la Francia e s’imbarcavano a Marsiglia o all’Havre. Prima del 1860, infatti, le condizioni sociali ed economiche degli Stati della nostra Penisola impedivano l’emigrazione vera; solo la Liguria e il Lucchese, per ragioni di commercio, la iniziarono, e coloro che costituirono il primo nucleo italiano a Rio Janeiro furono proprio i Liguri.

Poi le nozze di Don Pedro II, imperatore del Brasile con Maria Teresa, sorella di Ferdinando II re delle due Sicilie, produssero un movimento emigratorio dalle regioni meridionali d’Italia, da cui fu richiamato un numero non indifferente d’agricoltori, i quali s’irradiarono per tutte le province dell’Impero brasiliano, portando ovunque bontà di sentimenti, forza d’iniziative, tenacia di propositi.

Nacquero così quelle colonie rudimentali, che precorsero il tipo delle moderne e si svilupparono con intensità sempre maggiore.

Nel 1871 si contavano a Rio de Janeiro circa 500 Italiani; ma solo dopo la data memorabile del 13 maggio 1883, che abolì per sempre la schiavitù e che lasciò le campagne quasi tutte prive di lavoratori, cominciò realmente il periodo di ascesa dell’emigrazione italiana, incoraggiata dal mezzo che adottò il Brasile, bisognoso di braccia: cioè del viaggio gratuito.

Essa s’affermò come potenza di lavoro assiduo ed intelligente che, in poco tempo, fece assurgere le belle e ricche province della nuova Repubblica a dignità di floridi Stati. Ed in pochi anni le terre di San Paulo, più propizie ai nostri per il clima e la facilità dell’adattamento, ospitarono più d’un milione d’Italiani.

Oggi essi si trovano in gran numero anche negli Stati di Paranà, di Rio Grande do Sul, di Santa Catharina, di Rio de Janeiro, di Èspirito Santo, ed in numero limitato in quelli di Amazonas, Parà e Bahia; limitatissimo poi in tutti gli altri Stati della Federazione. Accanto alle forti colonie italiane sono quelle tedesche, austriache, francesi, inglesi, belghe; a cui è da aggiungere, da poco tempo, la colonia minuscola del Giappone che, per la prima volta, tenta i passi verso il continente Sud-americano e che, per la sua instancabile attività, non può lasciare indifferenti gli europei. In massima l’Italia ha inviato al Brasile le braccia, le quali avrebbero dato una produzione molto maggiore se avessero avuto il miglior ajuto: cioè il capitale; ma pure, in virtù della nostra intelligenza ed iniziativa, si contano diecine di migliaja di Italiani che seppero in breve serie di anni sviluppare commerci ed industrie, affermarsi nelle belle arti, imporsi nelle professioni.

Le più autorevoli personalità brasiliane hanno reso molte volte pubblico omaggio ai nostri lavoratori, proclamando «doversi principalmente alla Colonia Italiana se lo Stato di San Paulo attraversò la crisi provocata dalla schiavitù senza scosse e con progresso sempre crescente» e «in buona parte all’elemento italiano se quello Stato è oggi una stella che con tanto fulgore brilla nella costellazione della patria brasiliana. Fu l’elemento italiano che introdusse l’arte ed il gusto che si notano nelle costruzioni pauliste, trasformando la vetusta capitale (S. Paulo) nella bella, elegante e moderna città la quale oggi forma l’orgoglio del Brasile e l’ammirazione degli stranieri che la visitano.»


CAPITOLO IV.

 

Gli Italiani nei diversi Stati del Brasile.

 

L’Amazonas.

Il ricchissimo Stato dell’Estremo nord conta tino scarso numero di italiani, quasi tutti negozianti o avventurieri, che risalgono il gran fiume per cercare sulle rive pestifere degli affluenti del Rio Mar la fortuna, internandosi nelle foreste paludose degli alberi di gomma, per commerciare in questo prodotto. Vi sono anche, alcuni ingegneri agrimensori e, molto più frequenti, i mascates (rivenditori ambulanti) tenaci ed infaticabili, i quali, se hanno la forza di sfuggire alla malaria e alle tristi conseguenze di quella vita colma di privazioni, possono anche formarsi una modesta fortuna. Un’emigrazione colonica italiana vera e propria per tutto l’Amazzone non v’è mai stata, nè potrà forse, per molte ragioni, stabilirsi per ora; i nostri coloni non saprebbero che cosa fare in quello sterminato territorio dove la popolazione è rada e dove non esiste purtroppo nessuna forma di agricoltura. La grande ricchezza del paese è costituita da un unico prodotto: la gomma elastica. Ma l’estrazione di essa non può esser fatta che dagli indigeni, perchè quella vita esige individui perfettamente acclimatati. Però anch’essi pagano un largo tributo di vite alla malaria, propria di quei pantani, malattia terribile che la scienza vincerà col tempo, ma che ancora dovrà combattere strenuamente. Il nostro commercio potrebbe invece offrire grandi vantaggi, nell’Amazonas, se non fosse terribilmente ostacolato dalla concorrenza dei portoghesi, che vi negoziano da secoli e vi contano una numerosa colonia e vi hanno imposto, a poco a poco, i loro usi, i gusti ed i loro prodotti; favoriti, specialmente dagli scambi diretti che possono effettuare tra Lisbona e Manàos; mentre gli Italiani da poco si sono stabiliti sulle rive del Rio Mar e non hanno una linea diretta di navigazione per lo scambio dei prodotti fra l’Italia e l’Amazonas.

Nell’Amazonas è molto apprezzato l’elemento intellettuale italiano, e ogni anno vi si reca qualche compagnia lirica, drammatica o d’operette, composta d’artisti italiani, mentre molti ingegneri ed impresari nostri hanno costruito buona parte degli edifici nuovi di Manàos. Tutte queste notizie sull’importanza e lo sviluppo della colonia italiana di questo Stato valgono anche per lo Stato vicino di Parà e per quello di Belem Parà. Anche qui alcuni italiani esercitano il mestiere nomade di mascate e giungono compagnie teatrali italiane. Però la nostra colonia non oltrepassa in complesso il migliajo di individui; mentre alcuni anni fa era molto più numerosa e avrebbe potuto progredire.

Nello Stato di Bahia l’elemento italiano incomincia ad essere molto numeroso, specialmente nella capitale; per la maggior parte si tratta di commercianti ed industriali, che hanno discreta fortuna; ma non mancano nè i professionisti, nè gli artisti, nè gli operai. La colonia italiana di Bahia è, del resto, una delle nostre più antiche nel Brasile; ma non s’è mai sviluppata molto, per l’ignoranza che v’è fra noi delle risorse che potrebbe offrire quel ricchissimo territorio, sia per l’agricoltura come pel commercio, specialmente in alcuni suoi prodotti come quello del tabacco, la cui produzione è importante e di qualità superiore. Qualche casa italiana potrebbe efficacemente esercitare sul luogo il commercio d’esportazione, tenuto conto che l’Italia ne compera per oltre 22 milioni di lire all’anno.

Nella Stato di Espirito Santo si scorgono già le orme più evidenti e più ampie dell’immigrazione nostra e questo è dovuto ad un ardito tentativo di colonizzazione fatto poco dopo la proclamazione della Repubblica, all’epoca di febbre che prese quello Stato nell’iniziare grandi lavori edilizi e ferroviari, che attirarono molti operai italiani, sviluppando di conseguenza il nostro commercio. Ma vi furono molte illusioni ed amarezze, perchè Espirito apparve subito, non già per mancanza di terre fertilissime da popolare, ma per quella di mezzi di comunicazione e di abitazioni convenienti, impreparato a ricevere un forte flusso immigratorio ed a compiere un’opera vasta e complessa di colonizzazione. Però molti italiani vi rimasero, dandosi specialmente al lavoro dei campi, ed ora lo Stato sta riprendendo vigore e preparando un avvenire più fortunato coll’aprire vie ferroviarie, finora mancanti quasi interamente. Oggi vivono nello Stato di Espirito Santo circa 30.000 nostri connazionali, raggruppati in maggior numero per i lavori agricoli nei Municipi del Sud, che sono centri di produzione del caffè.

Molti sono impiegati nelle costruzioni che lo Stato sta compiendo per importanti lavori pubblici. Il commercio italiano è rappresentato da qualche ditta importante, da alcuni negozi e da qualche casa d’importazione.

Nell’immenso territorio dello Stato di Minas Gerães, famoso per le sue miniere e grande più della Germania, gli Italiani si trovano disseminati un pó da per tutto; ma non in uguale misura; così al nord ed all’ovest sono molto scarsi, mentre s’addensano al sud ed all’est, nelle vicinanze degli Stati di Rio de Janeiro e S. Paulo. Nelle fazendas, nei nuclei coloniali, nei paesi e nelle città dell’ampio Stato, sono oggi collocati non meno di 15.000 connazionali nostri e, nella maggior parte, in soddisfacente condizione economica. Le città ove gli operai, professionisti, commercianti, costruttori, proprietari d’officine sono più numerosi, sono l’industriosa e vivace Juiz de Fora che ne accoglie diverse migliaja, poi Bello Horizonte, la nuova capitale di Minas Gerães, alla cui costruzione gli Italiani hanno tanto concorso; Ouro Preto ove la colonia italiana è più antica e finalmente Uberaba la regina del così detto Triangolo Mineiro.

Nel Paranà, proporzionalmente al territorio, gli Italiani sono ancora più numerosi e la nostra colonia ha il carattere speciale d’una stabilità certa. La grande somiglianzà del suo clima con quello d’Italia, il genere di cultura agricola cui possono dedicarsi i coloni, più confacente alle loro abitudini, il razionale sistema di colonizzazione seguito dal Governo dello Stato, sono altrettanti fattori di questa stabilità. Sul grande altipiano, che forma la zona alta del Paranà, vi sono migliaja e migliaja di nostri forti contadini che dissodano la terra e la fecondano per trarne grano, granturco, legumi d’ogni specie, uva e frutta squisite come quelle delle nostre campagne. Le colonie italiane s’addensano specialmente nei dintorni di Curityba, capitale dello Stato, e dentro di essa. Gran parte del commercio ed anche qualche industria sono nelle mani dei nostri connazionali. Pure lo scambio tra l’Italia ed il Paranà, sempre per la mancanza di comunicazioni dirette, è molto scarso.

Santa Catharina è la terra che, più d’ogni altra, rappresenta la gloria viva della nostra gente e che potrebbe alimentare in noi molte speranze. Ad essa si riannodano anche i ricordi delle gesta eroiche di Giuseppe Garibaldi e del suo affetto per Anna de Jesus Ribeiro che, dopo essere stata eroina del suo popolo, divenne una delle nostre, sui campi italiani, accanto al Duce generoso. Santa Catharina è un campo ove i nostri hanno combattuto le magnifiche battaglie civili contro la selva inviolata, per la conquista del suolo e della solitudine; in mezzo a cui sorsero, per merito loro, paesi floridissimi e campagne ubertose, fecondatrici dei frutti più dolci ed utili della terra. Gli Italiani dovettero emulare, su quel suolo, la forte razza paziente, infaticabile, tenace dei tedeschi, i quali prima di noi vi avevano posto il piede di colonizzatori; eppure riuscirono a far trionfare le nostre energie che, purtroppo, spesso si disperdono per mancanza d’una saggia organizzazione, ma sono inesauribili come le fonti eterne dei fiumi che scendono dalle balze selvose del nostro Appennino e dai ghiacciai delle Alpi. Ed ora tutta la contrada di Santa Catharina porta nomi italici che, in una città, o in una regione o magari in un villaggio, sembrano voler ricordare qualche lembo della patria lontana.

Ecco Nova Venezia, Nova Trento, Nova Belluno, Nova Trinacria.... tutta l’Italia che laggiù rifiorisce per il lavoro dei suoi figli. Il Municipio di Urussanga è tutto italiano. Come sono degni di ammirazione i modesti eroi di questa grande epopea, i quali vennero, poveri coloni, dalle campagne del Veneto e dai latifondi della Sicilia, entrarono per la prima volta nella foresta vergine, aprirono un nuovo solco alla civiltà, combattendo per lunghi mesi contro disagi e pericoli d’ogni sorta, e battezzarono il suolo, fecondato e abbellito dalle loro fatiche, coi nomi benedetti della patria lontana! Oggi le colonie italiane in Santa Catharina, pur inferiori in potenza numerica ed economica a quelle tedesche, sono vigorose e promettenti; in Urussanga vi sono società e scuole italiane, professionisti italiani, v’è tutto un popolo che parla la nostra lingua e che pensa e sente italianamente, pur senza destare timore e gelosia nei nativi, i quali sanno benissimo che i nostri coloni, oltre alla madre patria, amano anche la terra che li ha ospitati. In Florianopolis, capitale dello Stato, bella e ridente sullo specchio azzurro del mare, il commercio italiano s’è validamente affermato, e s’affermerà ancor più quando saranno stabilite le dirette comunicazioni coll’Italia.

Lo Stato del Brasile che, dopo San Paulo, accoglie maggior numero d’Italiani, è quello di Rio Grande do Sul; anche qui la prima colonizzazione fu tedesca, e gli Italiani venuti dopo (nel 1874) non tardarono ad oltrepassarla in numero, che ora ascende a poco meno di 400.000 individui. Le nostre numerose ed importanti colonie nel Rio Grande del Sud sono molto prospere e ricche; i coloni sono tutti padroni del suolo o nella positiva e pratica possibilità di divenirlo e si contano a migliaja d’ogni parte della Penisola.

Rio Grande do Sul è senza dubbio uno degli Stati dove la nostra collettività si trova meglio e che merita uno studio speciale da parte nostra per il grave problema dell’emigrazione.

Gli Italiani a Rio de Janeiro e a S. Paulo.

Fin dal 1843, quando cioè la buona e virtuosa sovrana del Brasile, l’Imperatrice Teresa Cristina, figlia di Ferdinando II, arrivò a Rio de Janeiro, esisteva in questa città una colonia italiana che era poco numerosa e passava quasi inosservata in mezzo al tumulto di gente d’ogni provenienza che affluiva alla Capitale e lentamente ne invadeva i colli e le vallate popolandola ed ingrandendola fino a farla divenire il gran centro d’oggi. Alcuni italiani si impiegavano nelle rudi opere di muratore e di falegname; altri lavoravano in negozi di sarti e calzolai; altri, sbarcando come marinai da navi a vela, aprivano osterie e locande nella prossimità del porto. Fra le case commerciali erano notevoli solo due o tre, che importavano marmi di Carrara.

Tre anni dopo, nel 1846, in Via degli Orefici s’apriva la giojelleria dei fratelli Domenico e Cesare Farani a cui Rio de Janeiro deve l’apertura di molte vie e la costruzione delle scuole di S. Cristoforo, S. Sebastiano, Gloria e Ajuda. E d’allora i nomi di ingegneri, architetti e costruttori italiani s’allacciano ininterrottamente con tutta l’immensa opera dell’edificazione pubblica e privata della magnifica città in cui, anche oggi, l’attività italiana ha la sua caratteristica espressione, nella bellezza degli edifici e dei giardini e delle ville e delle strade, che rivelano la genialità artistica dell’ingegno nostro.

Lo spirito associativo e patriottico si manifestò qui sempre rigoglioso per custodire elevato e rispettato il livello intellettuale e morale della grande patria italiana, con istituti di credito, d’insegnamento, con la stampa periodica, ecc.

Il numero degli italiani, che risiedono in questa grande metropoli, sparsi in tutti i quartieri e sobborghi e paeselli circostanti, supera i 40.000; suddivisi in tutte le professioni, classi, mestieri, ecc. La maggior parte è assorbita dalle piccole industrie, che ogni giorno spariscono all’avanzare maestoso della grande industria, e dal piccolo commercio ambulante di pesciajuoli, lattivendoli, fruttivendoli ecc. I lustrascarpe e i rivenditori di giornali e dei biglietti di lotteria (gli Italiani hanno un monopolio incontestato in questo commercio) occupano per numero un posto non indifferente tra i maggiori gruppi in cui si distribuisce la colonia italiana di Rio. Un altro gruppo ben distinto è quello degli artisti delle varie compagnie teatrali, che da più di mezzo secolo vanno annualmente a Rio de Janeiro e vi si fermano. Moltissimi e degni della maggiore stima sono i professionisti.

Fra gli industriali coraggiosi e pieni di iniziativa sono alcuni proprietari di fabbriche di prodotti chimici, di stabilimenti litografici, di tipografie, ecc.

Nello Stato di San Paolo, in mezzo ad una popolazione che non oltrepassa i tre milioni e mezzo, vive circa un milione di figli d’Italia, i quali si trovano ovunque, dal porto di Santos ai più remoti paeselli dei confini. Essi hanno invaso tutti i mestieri, tutte le professioni, i commerci, le arti, le industrie e sono l’orgoglio della nostra storia coloniale, poichè se le fazendas (tenute agricole) di questo Stato sono così favolosamente produttive e la loro ricchezza si moltiplica continuamente, ciò si deve in buona parte alle braccia e all’intelligenza italiane.

Ed anche il commercio italiano, specialmente il piccolo, si afferma dappertutto vittorioso. I professionisti, gli ingegneri, i medici, i farmacisti, ecc. sono numerosissimi ed apprezzati e neppure son rare e povere le industrie che vantino nome italiano; finalmente l’arte nostra vi trionfa nelle costruzioni, nei teatri, nella musica, nella pittura, nella scultura, in tutte le sue molteplici e magnifiche espressioni. E se pure la massa non è ricca, in mezzo ad essa si contano fortune colossali, banchieri, commercianti ed industriali ricchissimi. Le associazioni sono a céntinaja e il grandioso Ospedale, la Camera di Commercio ed altri Istituti dimostrano la maturità e la floridezza della nostra colonia.

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Padre Josè Anchieta uno dei fondatori di S. Paolo

São Paulo, la capitale dello Stato, è dopo Rio de Janeiro la più importante città dell’Unione, la più ridente, la più armoniosa per bellezze naturali, la più estetica per opera dell’uomo. Quasi la metà dei suoi abitanti è costituita da emigrati Italiani. La città, che si distende su un piano elevato e lungo le valli dolcemente ondulate di due fiumi, ebbe origine, nel 1554, da un Collegio di Gesuiti, mandati nel Brasile per catechizzare ed incivilire gli indii. Nel 1553, il padre Josè d’Anchieta, con alcuni di loro, traversò la Serra, e nei campi di Piratininga fondò la bella città «ove abbondano i garofani, i gigli bianchi ed altri fiori» come egli stesso descriveva la nuova terra che, in breve tempo, sarebbe divenuta un centro popoloso ed importantissimo. Per la fortunata situazione topografica, San Paolo ha un clima temperato ed aria saluberrima, che hanno attratto, perchè simili a quelli della nostra patria, un gran numero d’Italiani i quali in essa sentono meno cocente l’angosciosa nostalgia della propria terra. Pure, fino a qualche anno fa, S. Paulo conservava ancora, nell’aspetto delle vie strette e soffocate, e delle case basse e buje, l’impronta del vecchio centro coloniale portoghese; ma, con le ondate di immigrazione italiana, essa si risvegliò a nuova vita e subì, a slanci, la rapidissima opera di trasformazione, di risanamento e d’abbellimento che l’hanno fatta divenire la gemma della terra paulista e una delle più belle città del mondo. Riguardo ai nostri connazionali, la Colonia italiana della Capitale dello Stato di San Paulo presenta, come in tutte le grandi agglomerazioni umane, le più disparate condizioni economiche: dal milionario al mendicante. In complesso, però, bisogna riconoscere che gli Italiani, pur non costituendo una collettività intensamente ricca, come quelle inglesi e tedesche, infinitamente più piccole, contano fra loro un buon numero di individui che possono classificarsi fra i grossi capitalisti e un numero rilevante di agiati. L’alto commercio, l’alta banca, la grande industria italiana vi fioriscono rigogliose, mentre sono innumerevoli i piccoli industriali ed i piccoli commercanti, nostri connazionali, che si trovano sparpagliati in tutte le vie ed in tutti gli angoli di San Paolo.

La traccia dell’influenza italiana intellettuale è invece grande e sensibilissima; molti medici, molti ingegneri, architetti, costruttori, tecnici valorosi ed insigni scienziati, sono stati e sono ancora in San Paulo quelli che tengono veramente alto il nome della Patria; ad essi bisogna aggiungere una schiera folta di artisti, pittori, scultori, decoratori, musicisti, artisti teatrali che, nella Capitale dello Stato, sono sempre molto apprezzati e festeggiati, e un gran numero di insegnanti a cui in Italia si pensa così poco e che pure, pazienti, infaticabili, compiono, nelle lontane terre, forse l’opera migliore d’italianità, insegnando ai figli dei nostri compatriotti la dolce lingua della patria, la sua storia gloriosa ed inculcando in essi il rispetto, l’amore e la devozione per l’Italia lontana. La classe operaia è numerosissima e tutte, o quasi tutte le industrie, grandi e piccole di San Paulo, si reggono sul braccio italiano: le fabbriche, le officine, i laboratorì sono pieni di nostri: uomini e donne, queste non meno infaticabili di quelli nel lavoro quotidiano.

I quartieri della parte bassa di San Paulo fervono di questa vita laboriosa e risuonano dei dialetti d’ogni parte d’Italia poichè da tutte le regioni della nostra penisola sono piovuti nei grandi sobborghi commerciali ed industriali di quella meravigliosa città, i nostri operai, che mettono in moto le macchine rumorose nelle fabbriche, battono i martelli pesanti nelle officine, curvano la schiena, all’aria aperta, sui solchi della terra, concordi nel compiere l’opera più bella dell’uomo: il lavoro. Essi, in genere, non hanno dimenticato la patria lontana; anzi, passando l’oceano, hanno portato con sè in gelosa custodia i loro usi tradizionali che adattano nella patria d’adozione, con nostalgico sentimento d’affetto. E la traccia di questi usi nostri si trova viva ovunque: nelle feste da ballo, nelle canzoni, nei trattenimenti familiari, nel modo di vivere. E non è raro il caso che, nei vasti e popolosi rioni di Braz, di Bom Retiro, tutta una folla di italiani del mezzogiorno s’aduni, ogni sera, in un grande stanzone per udir leggere, al lume fumoso di una lampada a petrolio, da un loro vecchio compatriotta, le storie cavalieresche di Guerrino detto il Meschino, del Conte Orlando, del traditore Gano di Maganza, che il popolo meridionale italiano adora anche oggi con ingenuo e commovente entusiasmo.

Tipi e macchiette di città.

Gli emigranti italiani che fanno i più umili mestieri e che tutti, da lontano, compiangiamo, senza averli mai veduti e conosciuti, sono invece, sotto un certo punto di vista, i veri conquistatori delle piazze di Rio de Janeiro e di S. Paulo.

Essi vanno da per tutto, nei borghi delle grandi città, nelle stazioni ferroviarie, nei piccoli negozi di campagna ove hanno soppiantato in buona parte i portoghesi, e ovunque c’è da sostenere un lavoro, da spiegare un’attività individuale e da correre anche un rìschio, pur di poter tentare la sorte, di poter sottrarsi alla vita monotona e dipendente del salariato.

I lustrascarpe.

Dopo il giornalajo, il tipo più popolare italiano, che si conosca nelle principali città brasiliane e specialmente a Rio de Janeiro e a S. Paulo, è il lustrascarpe il quale a sua volta era girovago e perlustrava, con la sua cassetta a tracolla, le vie più belle; poi divenne stabile e si fissò su un punto determinato del marciapiede o della piazza; più tardi invece, per ordine severo della prefettura, che non permette più ingombri alla libera circolazione per le vie, piantò il suo minuscolo arsenale ai piedi d’una scala, o sotto gli anditi di qualche galleria, o in certi piccoli negozi che, per essere nei punti più centrali della città, costano una pigione molto forte, o nel vano d’una porta. Qualche anno fa, a S. Paulo, il lustracarpe era un tipo caratteristico. Sul luogo dov’egli esercitava il suo mestiere all’aria aperta, non c’era soltanto la solita cassetta con le spazzole ed i vasetti di lucido; ma anche una specie di baldacchino formato da un alto seggiolone a braccioli e da un enorme ombrello di tela bianca, come quello che usano in campagna i pittori, legato alla spalliera della sedia già ingombra di giornali fra cui il lustrascarpe faceva risaltare, per patriottismo, quelli italiani. Chi aveva bisogno di farsi pulire le scarpe sedeva sotto quel baldacchino, non pomposo ma abbastanza comodo, tanto nell’estate quanto nell’inverno e, durante il lavoro sapiente dell’artista della spazzola, dava uno sguardo a tutti i giornali accumulati alle sue spalle, e tutto ciò per solo 100 réis. Oggi i seggioloni sono gli stessi, i giornali non mancano, ma il baldacchino è scomparso e l’opera del lustrascarpe vale il doppio perchè la prefettura municipale esige tanto di patente che vien pagata quasi un centinajo di lire all’anno.

Anche il lustrascarpe, come il giornalajo, è sempre di buon umore e s’acquista subito le simpatie degli avventori poichè il Brasiliano è di natura melanconica ma ama ed apprezza molto i temperamenti allegri e chiassosi. Il lustrascarpe intelligente diviene ben presto il depositario delle piccole confidenze dei suoi clienti e dopo un mese ne conosce il nome, la famiglia, la professione e perfino la fede politica. Egli è d’una cortesia rozza ma non goffa, nè servile!

Il suo costante buon umore s’altera solo quando i giornali recano la notizia di qualche avvenimento che riguardi l’Italia. Egli generalmente non sa leggere e allora quei giornali, disposti tutto il giorno alla spalliera del suo seggiolone, acquistano per lui un fascino strano; li guarda, li tocca con ansia quasi per poter loro carpire il mistero impenetrabile che accolgono e attende, con irrequietezza angosciosa, il cliente più benevolo che gli dia le informazioni che desidera. Allora con che disordine butta giù domande e come accoglie con avidità e con occhi sfavillanti le risposte che poi comunicherà ai compagni con appassionati e rapidi commenti! E come questi operai si mostrano solidali in un pensiero d’amore e d’ajuto per la Patria anche nelle circostanze gravi e nei momenti più difficili della vita coloniale, nonostante non abbiano fondato società di mutuo soccorso, nè a Rio, nè a S. Paulo e benchè, purtroppo, non abbiano una scuola serale per sè e per i loro figliuoli! Questo vivo sentimento patriottico è il lato più simpatico della psicologia di questa gente umile, senza istruzione e senza ideali; tanto più simpatico in quanto non ha secondi fini, ma è l’espressione intima e sincera d’un affetto sacro.

Il venditore ambulante.

Questi vive per lo più in certa specie di fondachi chiamati estalagens, che lo sventramento risanatore di Rio de Janeiro e il progresso dell’edilizia paulista demoliscono con tale attività che, fra qualche anno, non ne rimarrà altro che il nome. Alle 3 del mattino il venditore ambulante è già fuori della porta e, con due ceste infilate nelle braccia, s’avvia spedito al mercato e là si ferma innanzi alle cataste di verdura sbarcata il giorno precedente e sceglie un pò di tutto: dai cavoli ai pomodoro, dalla zucca alle patate dolci, dai fagiolini agli aranci, litigando sulla qualità, sui prezzi, facendo sfuriate contro il monopolio degli incettatori e terminando coll’accomodarsi con tutti e col lasciare a tutti un bel sorriso di soddisfazione accompagnato dalla promessa significativa di ritornare domani. Allora dispone con grande cura, nelle due ceste, i cavoli, i ravanelli, le patate, i pomidoro e i quarti di zucca, le rape e le carote e, quando le ha riempite, ne infila il manico lentamente come se temesse di veder cadere qualche cosa ed incomincia il giro, recandosi nel quartiere dove ha i suoi clienti abituali e dove, con voce baritonale, inizia la sua opera di banditore. E con quel peso, sale le alture dei quartieri antichi, fermandosi ad ogni richiamo, e va sino agli ultimi piani delle case che, fortunatamente di rado, in certi quartieri son palazzi ed hanno più di due o tre piani. Ma la maggior parte degli affari si conclude sulle porte delle case terrene, e con quanti litigi e giuramenti! Il venditore ambulante italiano ha soppiantato il portoghese dappertutto, per la ricchezza della sua parola, e perchè non è duro, inflessibile e cocciuto come quello; ma discute, dimostra, inventa, esagera, gestisce, esce in iscandescenze lirico-drammatiche e finisce sempre per persuadere e lasciar contenta la sua clientela.

Al mercato del pesce.

A S. Paulo, di fianco al mercato di via João Alfredo, vasto ed animato, che ha qualche cosa del bazar per il modo con cui vi si commercia, per il baccano che vi domina e per la varietà della mercanzia, v’è ora il nuovo mercato del pesce. Qui il baccano aumenta in modo indescrivibile; i rivenditori sono quasi tutti italiani del mezzogiorno, i quali hanno trasportato in S. Paulo i costumi caratteristici delle loro terre. Essi sono sempre ebbri di sole e di aria, chiassosi e gioviali, in una continua esaltazione provocata dal rumore infernale in mezzo al quale vivono di continuo. Perché al mercato del pesce tutti gridano, e come!

Anche i brasiliani che, di solito, parlano con una tonalità di voce molto moderata, quando entrano là dentro sono costretti a gridare per farsi intendere in mezzo a quel pandemonio vorticoso, pittoresco, vario. Fin dalle sette del mattino, nel grande edificio nuovo del mercato, nella sezione delle verdure, v’è un via vai straordinario, un avvicendarsi di tipi di tutte le gradazioni sociali. I cuochi sono i primi ed anche se non portano il classico berrettino bianco, si riconoscono subito dal viso sbarbato e dall’enorme sporta che riempiono a poco a poco d’ogni sorta di commestibili e di legumi delicati, che solo certe categorie di persone mandano a cercare, poichè al Brasile il baccalà, per esempio, il cavolfiore, gli asparagi, qualunque qualità di verdura che, da noi, è cibo da povera gente, sono invece prelibati e molto più costosi della carne. Più tardi vanno le domestiche bianche, e le nere e mulatte, varie di colore, ma simili a quelle per l’abitudine delle chiacchiere e dei pettegolezzi. Le domestiche italiane sono in buon numero, hanno lo scilinguagnolo ben sciolto e litigano per quarti d’ora per venti reis (un soldo brasiliano) mentre sotto l’ampia tettoja, le voci e le ciarle corrono, rimbombano e si mischiano e si confondono in un baccano infernale. Ma il mercato è interessante specialmente nella sezione delle verdure e dei legumi. Ci son cinquanta, sessanta o più tavoloni su cui s’ergono, accatastati, fasci enormi di finocchi, di sedani, di cicorie, di broccoli, di cardi, di asparagi e d’ogni qualità prelibata d’ortaglie proprie dei paesi caldi d’Europa e che pure sono prodotti genuinamente italiani, poichè le campagne che circondano S. Paulo furono, sin dai primi anni, colonizzate dagli italiani i quali le hanno trasformate con un lavoro indefesso ed accurato in orti e giardini che farebbero invidia agli stessi europei e che dànno prodotti più abbondanti dei nostri, se non più saporiti.

Sulla via di Mooca, all’alba, s’incontrano dozzine e dozzine di nostri ortolani, con carrettelle piene d’ortaglie fresche irrorate dalla guazza. Altre volte son donne: belle campagnole formose, dal volto abbronzato ed ardito; esse, quando son giunte al mercato, si collocano in piedi dinanzi alla loro merce, ne decantano la bontà, e contrattano con un linguaggio semplice ma espressivo e con maniere così spiccie che riescono perfino a togliere alle domestiche il gusto di cicalare. Da questo mercato si passa a quello del pesce. Quasi sull’alba il primo a contrattare è il rivendugliolo italiano con le sue ceste a bilancia, con una borsa di cuojo legata alla cintura, con uno straccio bianco al braccio e con una bilancetta nel fondo d’una cesta. Silenzioso, egli fa un giro d’ispezione intorno a tutte le sporte che si vanno vuotando sulle enormi tavole di marmo, osserva, sbircia e, con l’aria di chi ha poca voglia di fare una compra, comincia a contrattare. In questo egli ha una diplomazia specialissima, che gli ha procurato molto credito e rispetto nel mercato. Quando ha riempito le ceste sembra trasformarsi: le carica premurosamente in bilico sulla spalla e se ne va di buon passo per la via maggiore, che conduce al centro della città. Alle volte, e specialmente d’inverno, il suo giro è un trionfo poichè il pesce va a ruba e i quattrini scendono nella borsa, tintinnando che è un piacere; ma d’estate, quando la merce è scarsa e facilmente si guasta, la sua fatica cresce di molto; e pare che le strade sieno più lunghe e il peso delle ceste raddoppi.

Il «Mascate»

Forse la parola mascate ha origine esclusivamente portoghese; ma il tipo del merciajo ambulante, così comune nel nostro Napoletano ed in Sicilia, è diventato nel commercio brasiliano una vera istituzione. Il mascate vero è ordinariamente il turco, poichè la grande esportazione d’uomini che l’Asia Minore fa per il Brasile, ha sempre compreso un numero straordinario di merciai ambulanti. Gli italiani che si dànno allo stesso mestiere, sono invece, per lo più, delle province di Napoli, d’Avellino e Benevento. Però il mascate italiano è molto meglio accetto del siriaco; ha più comunicativa, è più allegro e sa ingarbugliare con maggior garbo la clientela; mentre il siriaco è sempre oscuro d’umore come il nero dei suoi capelli.

Il mascate prepara il fagotto con molta cura, mettendovi tele e tessuti di tutte le specie e ponendo in certe cassettine, sempre lucide e ben preparate, un vero arsenale di coserelle che, di solito, valgono molto poco, ma che son destinate a fare impressione nelle femminucce e nei contadini. Sono nastri, spilli con pietre false, bottoni da polsi e da colli, fazzolettini variopinti e di seta fradicia, agorai, anelimi di stagno, qualche rara volta d’argento, boccettine d’acqua odorosa, pettini, spazzole, cravatte e mille altre cianfrusaglie che, a quelle cassettine chiuse come scrigni, dànno l’aspetto di scatole prodigiose. Con questo bazar portatile in ispalla, egli corre per le strade, sale e scende ogni giorno icentinaja di scale e s’insinua, con ogni specie di profferte e di facilitazioni, che lo fanno divenir spesso un elemento indispensabile, nella casa dei clienti. Naturalmente egli profitta di questa sua importanza, per prender la gente in un ingranaggio di piccoli debiti che si scontano mensilmente o a settimane e che aumentano il valore della mercanzia. E, passando per le vie con aria trionfale, guarda con espressione maliziosa le fanciulle affacciate alle finestre e, sorridendo, ripete loro il suo ritornello che è una tentazione: «Coisas bonitas, frequez!» (Cose belle, avventore!). E le donne di casa e le giovinette, in ansia, per il corredo da sposa, abboccano all’amo e fanno aprire l’involto magico.

Questi è il mascate di città; v’è poi il mascate di campagna il quale va per le fazendas, affaticandosi per il lungo cammino e arrischiando non solo la salute, ma qualche volta anche la sua merce; però vendendo a prezzi esorbitanti che dovrebbero far aprir una buona volta gli occhi agl’ingenui coloni.

Il renajuolo.

Sulle rive del Tieté, presso il Ponte Grande, in S. Paulo, vive la popolazione singolare dei renajuoli. Le loro casette s’allineano o si sparpagliano grigie, uniformi, nude e tristi presso la sponda del fiume, dal cui letto essi traggono la vita. Il renajuolo possiede una barca ed un suo strumento; e così, con la barca vuota, e con una specie di pala a cassetta, assicurata ad un lungo manico, egli parte dalla misera abitazione e perlustra il fiume per trovarvi i banchi di rena. Quando ne ha trovato uno mette in opera il suo strumento e comincia un accurato lavoro di dragaggio.

La barca si riempie lentamente, sotto il sole che folgora, durante la fatica dannata del renajuolo che ha i piedi nell’acqua, il corpo sudato ed i vestiti grondanti; i muscoli nello sforzo continuo gli si fanno d’acciajo, il corpo gli si tempra nell’incredibile pena; ma qualche volta la febbre palustre s’abbatte sul povero lavoratore e la barca rimane immobile e nera nel piccolo porto fluviale per settimane intere; finché egli, un po’ più pallido, un po’ più affranto e dimagrito, non ritorni alla sua fatica. I renajuoli sono tutti italiani, per la maggior parte toscani, nati sulla bella spiaggia di Viareggio. In mezzo a loro suona continuamente il «dolce accento della Versiglia» con le cadenze molli e le imprecazioni caratteristiche. Questa rude gente, imperterrita nella fatica, sobria, tenace, non si lamenta mai, desidera solo di campar la vita il meno peggio possibile, con la vaga speranza di tornare un giorno a vedere gli ulivi argentei della sua terra.

Il guadagno che questo fiero, piccolo popolo di oscuri eroi del lavoro ritrae da simile durissima esistenza non è grande e, per di più, è insidiato dai periodi assai frequenti di disoccupazione; eppure i renajuoli sono affezionati al proprio mestiere, che si trasmettono attraverso le generazioni.

Le bande musicali.

Le bande di musica sono una vera istituzione nazionale trapiantata dall’Italia nel Brasile dove, quando sono riuniti appena cento italiani, la banda musicale si forma per necessità assoluta di vita. In mezzo alle foreste, nelle stesse fazendas ove l’agglomeramento dei coloni italiani è grande, appena si trovi un uomo che sappia compitare alla meglio quattro crome e dar fiato ad un pezzo di tromba, il corpo musicale è immancabile. Formata la banda, incominciano gli inviti e i contratti per feste, balli, processioni, ecc., ed allora è necessario la formazione della società e delle divise che, per lo più, rispondono alle simpatie che ha il capo e ai suoi precedenti artistici e politici di gioventù, sempre però ad un sentimento patrio. Nei giorni solenni tutti vestono la divisa, dandosi un’aria bellicosa che s’accentua in special modo quando, per caso, alla divisa vada unita la sciabola.

Così il giorno 20 settembre, dovunque sieno cinquanta italiani si vedrà un gruppo di coloni, vestiti a festa con una bella bandiera tricolore spiegata e coll’immancabile banda in gala, che eseguisce l’Inno Reale e quello fatidico di Garibaldi. Tante volte, fra le note trionfanti, scoppia qualche stonatura, ma anche essa fa tremolare negli occhi, senza che ci si accorga, lacrime di commozione!

Vita dei campi — La «Fazenda».

La «Fazenda» brasiliana è una vastissima tenuta o stabilimento agricolo e siccome essa, rispetto alla nostra emigrazione, è più importante nello Stato di S. Paulo che altrove, c’interesseremo di questo in ispecial modo. Nello Stato le «fazendas» si dividono in varie categorie, cioè: «Fazenda de cafè» se la coltivazione principale è di caffè; «Fazenda de canna) se è coltivata a canna da zucchero; «Fazenda de criação» se è addetta all’allevamento del bestiame: «Fazenda mista» quando è adibita alla coltivazione del caffè e della canna.

Nel «sitio» invece, che equivale al nostro podere, si trovano molto spesso riunite, in piccole proporzioni, la coltivazione del caffè, della canna, dei cereali, l’allevamento del bestiame e qualche volta anche la coltivazione del tabacco, del cotone, della manioca, ecc.

Per i servizi della «fazenda» il colono è rimunerato di regola ad un tanto; per la coltivazione annuale di 1000 piante di caffè, da 100 a 134 lire italiane ed ha generalmente il diritto di seminare tra i filari di caffè due linee di cereali, e quando le piantagioni di caffè son tanto cresciute da ombreggiare il terreno, allora il padrone assegna al colono un luogo fuori delle piantagioni, dove questi può seminare cereali col beneficio del raccolto, può allevar bestiame, ecc., sicchè da una famiglia composta di due persone atte al lavoro e d’una donna che attenda alle faccende di casa, può farsi un risparmio annuale di circa 800 lire. Ma questo guadagno presuppone che la famiglia colonica abbia avuto la fortuna di trovare una fazenda discreta, un proprietario onesto che sia puntuale nei pagamenti e che non rovini con multe esagerate i suoi dipendenti e, soprattutto, presuppone che la malattia non abbia fatto la sua triste visita in casa, poichè essa costituisce la rovina d’una famiglia colonica per la perdita di lavoro e più ancora per le spese enormi assolutamente incredibili per noi europei, per procurarsi il medico e le medicine. Fortunatamente però incomincia ora ad estendersi nelle, fazendas la mezzadria, che da ottimi risultati sia pel proprietario sia pel lavoratore. Essa si pratica in base a questi patti: il mezzadro coltiva le piante di caffè affidategli ed al raccolto ne divide il prodotto in parti uguali col proprietario e inoltre fruisce di tutti i vantaggi del colono dipendenti dalla cultura di cereali, dall’allevamento del bestiame, dal pascolo in comune, ecc. Il risparmio annuale, effettuato da una famiglia di mezzadri, con due uomini atti al lavoro ed una donna per le faccende di casa, si calcola possa salire a circa 3500 lire; ma naturalmente anche per il mezzadro bisogna fare le stesse riserve poste sopra per il colono; però un emigrante che abbia la fortuna di collocarsi come mezzadro con la propria famiglia in una discreta fazenda può sperare, se la fortuna non lo perseguiti con malattie o con raccolte disgraziate, di mettere insieme, in breve tempo, un piccolo capitale con cui svincolarsi dalla servitù economica della fazenda e divenire, con la compera d’un pezzo di terra, libero proprietario. La vita normale che si conduce in fazenda è tranquilla e monotona, tanto più perchè isolata dal movimento del mondo esterno; anzi si può dire che, specialmente nelle grandi «fazendas», non giunge mai l’eco di ciò che succede altrove. In alcune grandi e migliori fazendas esistono, col magazzino (venda o armazen) dove i coloni trovano da comperare tutto l’occorrente, la chiesa, la scuola per i bambini ed in certune perfino il piccolo teatro pei volonterosi dilettanti, e l’ufficio postale; sicchè lo stabilimento agricolo basta in quel caso a sè stesso, e l’uscita d’un colono dai suoi confini, tracciati da una triplice fila di fili di ferro, è un’eccezione straordinaria. Il duro lavoro quotidiano non permette distrazioni, e solo quando è scesa la notte, i coloni d’ogni nucleo si radunano per parlare un poco insieme dei loro lavori, delle umili speranze per il futuro, con accenti di rimpianto per la patria lontana.

Ma là conversazione è breve perchè alla nuova alba la campana del feitor (un soprintendente ai lavori) non tarderà a squillare per richiamarli alla fatica. La domenica è un poco più lieta e le vicinanze dell’armazen prendono un aspetto vivace, mentre nella chiesuola la turba lavoratrice accorre in abiti festivi ad ascoltare la messa. Nel pomeriggio, secondo l’elemento di cui la colonia è composta, s’organizzano divertimenti; così gli adulti si dànno il lusso di qualche partita a bocce o alle carte ed i giovani ballano al suono d’una fisarmonica o magari d’una piccola orchestra. Nelle «fazendas» più piccole ove, purtroppo, non c’è una scuola, una chiesa, nè l’armazen, la domenica mattina avviene l’esodo.

Nelle case coloniche rimangono, una per ogni casa, soltanto le donne che preparano il pasto festivo; mentre gli altri, uomini e donne, vanno al paese più vicino; gli uomini a cavallo, le donne quasi sempre a piedi. Lì, i capi di famiglia, mentre le donne e le fanciulle, dopo aver ascoltato la messa, s’abbandonano alla gioja fanciullesca e vanitosa di ammirare, scegliere ed acquistare qualche nastro, un grembiulino od altri oggetti modesti, fanno le provviste per la settimana ventura. Però molti di essi, dopo esser vissuti per settimane e mesi lontano d’ogni consorzio umano, privi di qualsiasi trattenimento ed occupazione che possano agire con beneficio nel loro spirito, s’abbrutiscono facilmente e, in qualche domenica, dopo aver camminato ore ed ore per giungere alla città, non sanno far di meglio che abbandonarsi al giucco ed alla piuga, la terribile bevanda che fa tante vittime fra i nostri emigranti, di cui è il più temibile nemico. In conclusione anche la vita della «fazenda» migliore è fatta di fatica e di monotonìa, come quella di tutti i lavoratori dei campi: rotta solo all’epoca del raccolto. La vivace animazione della «fazenda» in quei giorni ricorda le nostre vendemmie; i cafezaes, gremiti d’uomini, di donne e di ragazzi risuonano di canti, mentre il lavoro procede febbrile ma allegro. Non si raccoglie forse allora il frutto di lunghi mesi d’attesa e di fatiche che irrigidirono le braccia per lo sforzo del lavoro compiuto sotto il sole cocente?!..

Se le buone fazendas sono molte, non sono poche purtroppo amene le cattive; ma il numero di queste pare vada diminuendo. Un periodo tristissimo per i nostri contadini fu quello di alcuni anni fa, conseguenza della grande crisi del caffè e del suo deprezzamento, che inasprirono i fazenderos (proprietarii di fazendas) contro i coloni loro dipendenti: ma allora, se fu vero che spesso i nostri agricoltori furono bistrattati da alcuni fazendeiros avidi di lucri sempre maggiori ed insoddisfatti della propria agiatezza pericolante, e subirono ingiuste violenze e non ebbero pagate le loro mercedi, ciò non fu un male generale e così mostruoso, come la lontananza e la pena per i nostri fratelli lontani ci portarono a ritenere. Anzi possiamo dire che forse fu una causa di futuro benessere, poichè l’arrestarsi del flusso di emigrazione, che seguì questa crisi, rese più apprezzate le braccia dei nostri contadini, il trattamento verso i lavoratori andò migliorando per trattenerli, ed i casi di violenza, in questi ultimi anni, vanno scomparendo. Ad ogni modo, però, è bene insegnare ai nostri emigranti, sieno essi agricoltori o no, prima di tutto a leggere, a scrivere, in modo da svilupparne l’intelligenza, sicchè non vadano come ciechi verso l’ignoto e verso le sofferenze: ma conoscano la loro strada, le condizioni e i luoghi verso cui vanno, apprezzino il proprio lavoro, la propria dignità e sappiano scegliere con intelligenza; non solo, ma sieno fisicamente e moralmente forti in modo da tutelare da sè i proprì diritti. I deboli, gli ignoranti, i disadatti al lavoro intenso, incapaci di sopportare i disagi inevitabili della vita faticosa, o psicologicamente disposti a sopportare i soprusi, e coloro che non hanno lo spirito della difesa individuale e collettiva, rimangano nelle proprie case! L’emigrazione non è fatta per loro; poichè ovunque vadano saranno vittime del nuovo ambiente sociale e naturale, dato che non hanno in sè nè la capacità, nè l’energia di adattarvisi e di vincerli. E questa è la verità dura ma suprema che non dobbiamo dimenticare o velare; ma aver sempre presente per il bene pratico degli uomini coraggiosi, lavoratori instancabili, forti, onesti e tenaci: poichè se la «fazenda» può essere, specialmente dove il trattamento è migliore, un luogo dove chi ha fretta di ritornare in patria possa conseguire un certo guadagno, essa non è l’Eldorado della leggenda, i cui fiumi hanno le sabbie d’oro e le cui pietre son costituite da diamanti; non è l’America che alcuni sognano ancora; è un luogo dove bisogna lavorare e lottare, dove il male si mescola al bene come in tutte le cose di questo mondo; ma dove la fatica delle braccia umili e forti, quando la scelta del colono fu intelligente e non sottoposta all’altrui avidità o alle lusinghe ingannatrici, può trovare senza dubbio un migliore compenso che altrove.

Ma ritorniamo alle fazendas dopo la crisi del caffè.

Il governo brasiliano, comprendendo ormai che il ripopolamento del territorio è uno dei più sicuri elementi del progresso e della grandezza del paese e che, solo divenendo proprietario della terra, il colono s’affeziona al suolo e lo sfrutta amorosamente con beneficio anche del progresso, del commercio e dell’industria, non solo determinò uno statuto legale dei forestieri; ma, per attirarli, posò col decreto del 19 aprile 1907, le «basi regolamentari per il popolamento del suolo nazionale». Questo decreto deve rendersi noto in mezzo a noi, tanto più perchè i nostri lavoratori agricoli sono i primi interessati ai vantaggi riconosciuti agli emigranti dal Governo brasiliano ed è loro diritto e dovere di conoscere quanto li riguarda e li può guidare alla conquista di benessere e di dignità.

Gli immigranti agricoltori, accompagnati dalle loro famiglie, che si volessero stabilire come proprietari di piccoli lotti (terreni) (ciascuno di questi è costituito in media di 25 ettari (250000 mq.) in nuclei coloniali, avranno dagli interpreti le informazioni relative ai nuclei in formazione, e dove esistano lotti disponibili. Scelto uno dei nuclei, gli immigranti saranno trasportati e ospitati colle loro famiglie gratuitamente fino a destinazione. Arrivando alla sede del nucleo gli immigranti sono ricevuti e alloggiati nel Baraccone ove avranno alimento gratuito pel tempo che il capo del nucleo crederà necessario (da due a sei giorni al massimo) fino al momento di partire per il lotto da essi prescelto. Alcune volte gli immigranti vanno direttamente ai loro lotti. Vi sono lotti con la casetta di legno ed altri senza; in quest’ultimo caso, finché l’immigrante non avrà potuto costruirsela, verrà alloggiato con la famiglia provvisoriamente. Se il lotto ha la casa, il prezzò di questa sarà calcolato sul prezzo del debito che l’emigrante avrà contratto col governo per l’acquistò del terreno. Gli agricoltori accompagnati dalle loro famiglie, se non dispongono, dunque, come avviene pur troppo quasi sempre, dei mezzi per il pagamento immediato, avranno il lotto venduto a scadenze, e questi lotti, comperati a scadenza, dovranno essere pagati in rate annuali nel periodo di 7 a 10 anni. I prezzi di vendita dei lotti rurali, senza casa, variano generalmente da L. 13,50 a L. 50 per ettaro secondo le circostanze; un lotto di 25 ettari può essere acquistato per il prezzo di L. 333 a L. 1250.

Al prezzo del lotto con casa, si aggiungerà il prezzo di essa che varia da 833 lire a L. 3333. Molti immigranti preferiscono però lotti senza casa, alloggiando provvisoriamente in capanne e aspettando l’occasione opportuna per costruirsi la loro casetta senza indebitarsi maggiormente.

I lotti sono venduti a pagamento a vista all’agricoltore solo, non accompagnato dalla famiglia e tanto costui quanto l’immigrante che, pure essendo colla famiglia, vuol pagar subito, avranno diritto ad una riduzione del 12 per cento all’anno sulle somme che dovranno pagare. L’immigrante con la famiglia, prendendo possesso del suo lotto e andandovisi a stabilire, riceve gratuitamente alcuni strumenti da lavoro e, se è privo di mezzi per vivere, potrà ottenere lavoro retribuito, in costruzioni di strade vicine, o in altri lavori del nucleo per i primi 6 mesi, tempo sufficiente per effettuare il primo raccolto e la relativa vendita dei prodotti. Questo lavoro, dato all’immigrante come ajuto al suo sostentamento e a quello della famiglia, è concesso al capo della famiglia stessa e al figlio maggiore, sicchè mentre il capo di casa, per fornirsi i mezzi di vita, lavora in qualche piccola impresa, a salario, durante 15 giorni in ciascun mese, le persone di famiglia lavorano il lotto e durante gli altri quindici giorni anche il capo di casa potrà dedicarsi alla cultura del suo terreno. I nuclei coloniali dovrebbero essere situati in località sane, di buon clima, ed in condizioni favorevoli, ma purtroppo uno dei pericoli a cui vanno incontro i nostri contadini, per la loro stessa ignoranza, è di isolarsi così lontanamente dai centri, che rimangono in uno stato quasi selvaggio, senza scuole per i figli, senza farmacie, senza medici, levatrici, e senza mezzi di comunicazione, per cui gli stessi prodotti della terra avviliscono inutilmente per mancanza di sfogo commerciale, mentre le condizioni di vita divengono sempre più deplorevoli. E per quelli i quali vogliono dipendere, per la compera a debito del terreno, dal governo brasiliano, è utile l’avvertimento che, per il gran numero di immigranti agricoltori che giungono al porto di Rio de Janeiro, non è possibile determinare prima del loro arrivo in quali nuclei coloniali dovranno andare, poichè non sarebbe raro il caso che un nucleo indicato, non abbia in quel momento lotti disponibili. Perciò è più conveniente che gli emigranti agricoltori vadano colle loro famiglie al Porto di Rio de Janeiro e nell’Albergo dell’Isola dei fiori (di cui parlerò nell’ultimo capitolo) o nell’Ufficio di Immigrazione, dove avranno informazioni sui nuclei in formazione ed in condizioni di poterli accogliere e potranno quindi scegliere quello che loro più convenga.

Come si vede dunque i lavoratori agricoli son sicuri di trovare, fin dal loro arrivo, l’impiego della propria energia ed hanno anche la certezza, se vogliono stabilirsi sopra un lotto, di diventare proprietari d’una coltivazione che potranno, con buona volontà ed intelligenza, ingrandire in seguito.

Molte fortune attuali hanno avuto nel Brasile questa origine ed i 6000 e più proprietari italiani nello Stato di San Paulo provano indubbiamente che le loro condizioni non hanno nulla a vedere con quelle dei coloni che lavorano nelle fazendas altrui, nè sotto il punto di vista economico, nè sotto quello morale. Ma v’è anche di più. Il coltivatore diretto ricava dal suo podere quanto occorre al mantenimento proprio e della famiglia: riso, fagiuoli, porci, galline, latte, verdura, tabacco, ed in certi paesi anche vino, in modo che il reddito del caffè può passare quasi interamente dalla parte del risparmio e bastare ai bisogni superiori che avviano l’uomo a gradi più avanzati di civiltà. E queste condizioni vantaggiose di vita si palesano subito in quei paesi dalla differenza che c’è, per esempio, fra la casa del colono, squallida e povera di suppellettili domestiche, e quella del proprietario che ha già introdotto, nella propria, un grande miglioramento, quanto può comportare la posizione del suo terreno per lo più troppo lontano dai centri di progresso tecnico ed industriale. Un altro indizio di quel benessere e di quell’agiatezza è il giornale.

Infatti, mentre sono scarsissimi i coloni abbonati ai giornali, numerosi sono invece i piccoli proprietari, ed anzi si può dire che la maggioranza di essi sia abbonata ad uno o più giornali. Lo spettacolo è ancora più vivace e significativo nelle città dove, ogni domenica, verso le 10 si vedono arrivare a cavallo i nostri connazionalli dalle fazendas di cui sono proprietari e che sono sparse tutt’intorno a qualche chilometro. Essi si riuniscono nelle piazze o avanti alle Cooperative di consumo: spendono largamente, mangiano, bevono, fanno le provviste per la famiglia pagando tutto a contanti con un’espressione di benessere, che non si rivela là dove il colono lavora nelle fazendas altrui. Peccato però che la condizione morale dei nostri connazionali i quali per lo più, a causa dell’ignoranza, si sano andati a cacciare lontano dalle città, di cui non possono godere nessun beneficio, non sia egualmente buona come quella economica.

Lontani dai grandi centri d’incivilimento e senza scuole e mezzi di educazione, d’istruzione e di progresso, essi dal punto di vista igienico, intellettuale e morale, lasciano molto a desiderare. Preferiscono, per esempio, possedere un bel cavallo per pavoneggiarsi quando vanno in città, anzichè curare la istruzione dei figli e dare alla casa quelle comodità che accennano ad un incivilimento maggiore di abitudini. Perciò è da lodarsi l’opera di coloro che, sapendosi elevare al disopra dell’egoistico interesse individuale, hanno istituito nelle loro fazende la scuola per i propri figli e per quelli dei coloni ed hanno iniziato miglioramenti ammirevoli che mirano allo scopo di educare, istruire e sollevare i loro dipendenti. In seguito accennerò alle migliori fazende dello Stato di S. Paulo, appartenenti a proprietari italiani i quali sono una vera benedizione per quei nostri coloni che, in principio, per non fare debiti e perchè mancanti del piccolo capitale per divenire proprietarii di un lotto, debbono necessariamente lavorare sul terreno altrui.

La colonia italiana, nello Stato di S. Paulo, è, come già notai, quella che ha maggiori interessi materiali e che, fra tutte le colonie straniere, rappresenta il maggior valore agricolo. Essa possiede terreni, dalla capitale dello Stato fin nei luoghi più appartati dell’interno dove non si supporrebbe neppure l’esistenza dell’uomo bianco e, dove, purtroppo — non è inutile ripeterlo — le privazioni e gli inconvenienti sono maggiori. Eppure anche là si trova l’Italiano con la sua abitazione sulle sponde d’un ruscello o sui confini d’una foresta vergine, sulla terra su cui poco prima l’indigeno comandava da padrone, e su cui ben presto fiorirono gli aranci, maturarono i banani mentre le cattive erbe, a forza di lavoro, cedettero il posto alle piante commestibili. Il navone e la senapa sono le pianticelle che, sulla terra del Brasile, caratterizzano la presenza dell’agricoltore italiano, il quale acclima con amore, in quelle regioni, le piantine del nostro suolo, delle quali ha portato o s’è fatto inviare il seme dalla patria, perchè esse gli ricordino l’azzurro cielo di Napoli, o le acque tranquille dei laghi alpini; le fertili pianure lombarde o i colli verdi della Toscana; le collinette ridenti ed apriche delle Marche o le montagne degli Abruzzi.

Il Sertão.

Non bisogna però credere che tutto lo Stato di S. Paulo sia un’interrotta successione di fazendas; esse, pur essendo in gran numero, coprono solo una piccola parte del territorio paulistano; anzi vastissime zone, molto scarsamente popolate, sono appena costellate qua e là di sitios, piccoli poderi che il proprietario coltiva insieme con la famiglia.

Altre zone sono ancora inesplorate e rappresentano l’incontrastato dominio dell’indio selvaggio; tutto il vastissimo territorio, che si stende lungo il Paranapanema, è in queste condizioni. Sui margini di queste terre sconosciute, dove i centri abitati son poverissimi di popolazione e lontanissimi gli uni dagli altri, la febbre della civiltà non è ancora giunta e, invece del sibilo della vaporiera, s’ode la monotona nenia del tropeiro, che porta la mercanzia sul dorso dei muli attraverso le foreste, per gli aspri sentieri che formano l’unica via di comunicazione tra i villaggi.

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Nel Sertão — Ranchos (capanne) nella «Roça» zona coltivata in mezzo al bosco.

Qui rimangono ancora molti usi dei tempi coloniali e la vita è rude e primitiva. Gli abitatori di queste zone, che sono designate col nome di sertão, si chiamano sertanejos ed hanno abitudini d’una semplicità spartana. I loro bisogni sono minimi: una capanna, (il rancho), fatta con pochi pali e coperta di foglie di sapé, basta per alloggio; una stuoja od un’amaca o una pelle di bove per letto; un pó di granturco, di riso, di manioca, di fagioli neri e di carne secca, per alimento. I loro divertimenti consistono in danze caratteristiche e, più spesso, in fantastiche ed ingenue improvvisazioni che cantano accompagnandosi sulla chitarra. Il loro lusso è tutto nei finimenti del cavallo i quali, qualche volta, sono d’argento, e nella bellezza delle armi, I vizii non sorpassano l’uso o l’abuso della cachaça, acquavite estratta dalla canna da zucchero, e del tabacco. Come primitivi, essi sono ospitali e diffidenti, generosi e violenti, infaticabili ed apatici. La lontananza da ogni azione protettiva della legge, la necessità continua di provvedere con le proprie forze alla difesa individuale, hanno sviluppato in essi speciali energie, per cui i sertanejos son pieni di fierezza e di coraggio, pur avendo, come tutti gli uomini che vivono nella solitudine, carattere melanconico e contemplativo, che si riflette, con vaga tristezza, in tutti gli atti della loro vita. Il sertanejo ama sopra tutto l’indipendenza, che è il pregio invidiabile della sua vita; infatti egli ha a sua disposizione la terra libera per coltivarla senza dipendere da nessuno, il fiume per la pesca, la foresta per la caccia. Con un fucile sulle spalle, con la fida «faca» , coltello a lama fissa, e la pistola al fianco, con uno strumento qualsiasi di lavoro in mano, egli può andare dove vuole, nel suo mondo di boschi sterminati e di sterminate radure, fissando la sua residenza dove più gli piaccia, sicuro d’essere indisturbato. Nelle zone dove si fa grande allevamento di bestiame, vive il vaqueiro che corrisponde al gaucho delle pampas argentine[3]. Anche il vaqueiro passa la sua esistenza a cavallo, sorvegliando le mandre di migliaja di bovini semiselvaggi o conducendole sui mercati di vendita, attraverso interminabili viaggi che durano mesi interi, finché quelle non arrivano decimate e smagrite per essere poi ingrassate nuovamente prima di venir condotte al macello. Il laccio è, come per il gaucho, l’inseparabile compagno del vaqueiro, che l’adopera con impareggiabile maestria. Ma, nello Stato di San Paulo, lo spazio in cui si esplica questa forma intermedia di vita sociale, tra l’uomo civile e l’indio selvaggio, si riduce sempre più; poichè le linee ferroviarie s’allungano, si ramificano, penetrando nei più riposti angoli del paese e portando, col fischio della locomotiva, la voce benefica e l’impulso della civiltà. Dove giungono le ferrovie, le foreste cadono, le terre son dissodate, la conquista dell’uomo sulla natura si compie meravigliosa e quasi fulminea e sorge la fazenda od il nucleo coloniale mentre il sertão cessa d’esistere e il sertanejo o s’adatta al nuovo stato di cose, trasformandosi in colono, magari in fazendeiro, o si spinge ancor più lontano, nell’interno inesplorato, ove fra i boschi intatti egli possa ancor saziare la inestinguibile sete di libertà assoluta.

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Un «vaqueiro».


CAPITOLO V.

 

Alcune, “Fazendas” italiane e brasiliane nello Stato di S. Paulo.

 

Quale dovrebbe essere l’ideale della nostra colonizzazione nel Brasile.

Proprietà fondiarie italiane nello Stato di S. Paulo. — Voler dare un’idea particolareggiata delle proprietà fondiarie degli Italiani nello Stato di S. Paulo sarebbe cosà troppo lunga per questo volumetto, nel quale però mi par giusto e doveroso fare almeno un cenno delle più importanti e caratteristiche; non solo per indicare la verità e i luoghi ove i nostri emigranti agricoli sarebbero, qualora ve ne fosse il bisogno, trattati meglio; ma per incoraggiarli al lavoro assiduo ed intelligente, per far loro conoscere ed amare il vero lideale della colonizzazione italiana; quello cioè della piccola proprietà, l’unico che possa essere per loro fonte di sicuro guadagno e mezzo per migliorare, a favore della propria famiglia e dei figli, le condizioni economiche e morali per raggiungere il benessere e la dignità che il lavoro più faticoso nelle «fazendas» altrui non potrà mai dare. Questi fratelli comprenderanno così che dovrebbero allontanarsi dalla patria senza l’angosciosa pena dell’incertezza e l’umiliante necessità d’essere sottoposti ad altri, e soltanto quando sapessero leggere e scrivere e quindi fossero in grado di conoscere, prima di partire, quali paesi, quali località per il clima, per il suolo, sono più adattate alla coltura campestre che preferiscono e alle loro abitudini, e di comprendere pure come non basti il tesoro delle braccia laboriose ma occorra anche quello d’una piccola somma per mezzo della quale divenir subito proprietari. Do questi cenni con cuore di italiana, non solo a favore dei disgraziati i quali potrebbero rispondermi che, se avessero un capitaluccio, non abbandonerebbero il proprio paese, ma anche a favore di tutto il grande problema della nostra emigrazione; perchè sorga una buona volta, fra i nostri capitalisti, l’iniziativa di formare società ed imprese italiane di colonizzazione, le quali, dato il basso prezzo dei terreni disponibili nel Brasile, specialmente negli Stati del Sud, ancora scarsi d’Italiani, e nello stesso Stato di S. Paulo, sarebbero, per chi le tentasse, un ottimo impiego di capitale, e servirebbero a compiere un’opera veramente patriottica nel più nobile e pratico senso della parola.

E questo perchè, quando queste società avessero provveduto saviamente con amor patrio e fraterno, a quanto serve per assicurare il benessere materiale, economico e morale dei nostri emigranti, alle linee ferroviarie per lo scambio ed il commercio dei prodotti, all’incanalamento delle acque, al risanamento del suolo, alle scuole per i bambini e per gli adulti ove ìa cara lingua nostra, la nostra storia e le varie cognizioni tenessero acceso l’amore della patria e aprissero l’intelligenza e formassero i caratteri per la conquista d’un migliore avvenire; quando avessero provveduto anche alla chiesa a cui il nostro popolo è profondamente attaccato per la fede ereditata dai padri e per il conforto che ne ritrae per vincere le amarezze della vita; alla farmacia, al medico, alla levatrice, ai luoghi di riunione e di svago necessari per sostenere la serenità e le forze del lavoratore e per svilupparne la tendenza educativa della solidarietà; gioverebbero immensamente non solo a sè e ai nostri emigranti agricoli (i quali comprerebbero da esse, i lotti a scadenza), ma anche a quelli già residenti nel Brasile. Faciliterebbero infatti a questi ultimi lo scambio dei prodotti se proprietari, o darebbero loro il mezzo di conquistare l’indipendenza colla trasformazione da coloni in proprietari, da dipendenti a liberi cittadini, se trovansi in fazendas non buone. Quanti nostri emigranti potrebbero allora fare a meno di chiedere, nella miseria, come tanti mendicanti, o un credito al governo brasiliano o il lavoro salariato senza nessuna difesa legale, praticamente impossibile per le enormi distanze dai centri; abbandonati al caso più o meno provvido che li sbalzi su una fazenda qualunque, senza speranza d’uscirne.

I capitalisti germanici di Amburgo, Brema e Lubecca alcuni anni fa si strinsero in una società di colonizzazione e comprarono gran parte delle terre dello Stato di Santa Catharina, che ridussero colonizzabili aprendo strade, costruendo ferrovie, rendendo praticabili i porti, navigabili i fiumi, edificando case, borgate, scuole e chiese, e chiamando poi essi stessi i migliori coloni germanici su quelle terre e vendendo loro, o a scadenza o a contanti, i lotti nei quali quelle erano state divise. E quanto non potremmo far di bello e di utile noi, che lasciamo andare senza guida e saggia organizzazione i nostri emigranti nello Stato di S. Paulo, come semi gettati a caso dal vento e che pure si sono accresciuti e moltiplicati rigogliosi, quali germogli robusti capaci di sfidare, per propria forza, ogni disavventura, e si son sparsi a migliaja ovunque, trapiantando la lingua, i costumi, le leggende, i canti e le virtù del popolo italiano?! Una saggia organizzazione di forze, un indirizzo coscienzioso d’energie farebbero prodigi fra la nostra gente e favorirebbero non poco le condizioni di scambio commerciale ed industriale fra i prodotti italiani e brasiliani.

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Piantagione di caffè.

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Raccolta del caffè nello Stato di San Paolo.

La fazenda, che mi piace ricordare perchè potrebbe servire da modello agli altri nostri connazionali proprietari ed insegnar loro come, pur non trascurando i proprì interessi, potrebbero compiere opera di grande merito verso i nostri coloni emigranti, è quella di Santa Thereza del signor Giuseppe Mortari, ad un’ora di cavallo da Ribeirãozinho, posta su uno spazioso altipiano dal quale si domina tutt’intorno una vasta estensione. Nel centro è la casa padronale, a poca distanza e dinanzi ad essa sono due gruppi di case per i coloni, e ad una cinquantina di metri trovasi il teatro, il quale è anche sede della società e della scuola. Il vasto e fertilissimo terreno, che costituisce la fazenda, è occupato in parte dalla piantagione del caffè, in parte da canna da zucchero ed il resto da pascoli e boschi. Il signor Mortari ha dimostrato ciò che potrebbe fare un uomo intelligente, colto e di coscienza, anche sotto le spoglie tanto maledette del fazendeiro. Per prima cosa egli ha introdotto da molti anni, fra i suoi coloni, il sistema a mezzadria e, comprendendo che non bastava migliorare soltanto le loro condizioni materiali, ma bisognava diffondere l’istruzione e il benessere morale che riparassero all’isolamento, alla stanchezza d’una settimana di lavoro e alla tendenza che essi sentono di passar la domenica al giucco e a bere la terribile bevanda piuga, che abbatte le più forti energie, un bel giorno convocò i suoi coloni, espose loro l’utilità che avrebbero avuto dal fondare nella fazenda una scuola per istruire i loro figliuoli e si quotò per il primo per stipendiare un maestro che venisse ad aprirla. L’esempio fu imitato, tutti i coloni aderirono ed il 20 settembre 1902 la scuola fu aperta, festeggiando così, nel modo più degno, la gloriosissima data della nostra storia contemporanea. Il maestro di scuola ed il meccanico erano stati dilettanti filodrammatici; quindi, mossi dall’antica passione, pensarono a formare un teatro ed anche in questo trovarono in tutti piena approvazione. Il proprietario diede il terreno ed il legname, il maestro fece da ingegnere, tutti i coloni prestarono il loro lavoro ed il teatrino, costrutto interamente in legno, fu inaugurato il 15 agosto 1903. Ora in quel locale, che è opera di tutti, ogni giorno s’uniscono i fanciulletti dei coloni ed imparano a leggere, a scrivere e ad amare la patria lontana e a divenire buoni figliuoli, mentre, alla sera, vi s’adunano i genitori, che dopo le fatiche della giornata, non isdegnano, sebbene già in età, di frequentare la scuola serale oppure di studiare la loro parte nella commedia o nel dramma che poi sarà rappresentato, coll’intervento dei coloni delle vicine fazendas, i quali hanno per i loro compagni sentimento di ammirazione e d’invidia.

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Trasporto del caffè nelle fazendas di S. Paolo.

L’esempio bellissimo del signor Mortari, seguito da alcuni altri nostri connazionali nelle loro fazendas, dovrebbe propagarsi e fruttificare ovunque, come s’è esteso in molte fazendas brasiliane di cui accennerò, nelle pagine seguenti, i migliori nomi. Intanto è bene ripetere che i proprietari italiani dello Stato di S. Paulo sorpassano di molto i seimila, che in Pirassununga essi sono numerosissimi, che a Boa Vista das Pedras sono più di mille, che Ibitinga è un importante centro di italianità, dove prevarrà ben presto il nome italiano e l’energia della nostra razza e che, per esempio, a Turvo, paese esclusivamente italiano, ove è brasiliano solo il farmacista, il quale però parla benissimo la nostra lingua, un buon numero di proprietari italiani coltivano solo cereali, specialmente riso, fagiuoli, granturco e, avendo questi un alto valore, guadagnano somme non indifferenti.

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Essicazione del caffè nello Stato di S. Paolo.

Naturalmente questi piccoli proprietari trovano molto spesso, nel numero dei membri della loro famiglia, i lavoratori sufficienti per coltivare il proprio podere; ma alcuni di essi, divenuti proprietari da più tempo, hanno bisogno, per l’estensione maggiore del suolo, dell’ajuto dei coloni italiani.

Importantissime sono le fazendas d’Antonio Bianconi della Garfagnana, uomo laborioso, intelligente e buono. Égli, dopo lotte accanite, e anni interi di fatica, dopo essere stato commerciante girovago, poi camarada, cioè colono, poi commesso di negozio, oggi è divenuto possessore di 4 grandi fazendas fiorentissime, che superano in valore i 10 milioni e dove lavorano con amore famiglie intere di soli coloni connazionali. E come questo bravo connazionale, rimasto profondamente italiano nell’anima, si potrebbero nominare, con ammirazione, i fratelli Gennaro, Domenico e Nunzio Malzoni di Salerno con la loro fazenda «Trinidade» a Mattão, ove l’industria pastorizia dà eccellenti risultati per l’opera attivissima dei loro dipendenti, che si contano fino a 400 e che sono soddisfattissimi del buon trattamento che vi trovano. Noto anche Giovanni Bellintani della provincia di Mantova con le sue fazendas Azul e Fazendinha; la prima fiorente per la pastorizia e la coltura dei cereali ed anche per un molino per la farina di granturco e una segheria a vapore modernissima. In essa lavorano 35 famiglie italiane.

Come questi, si potrebbero nominare, se non fosse oltremodo lungo, centinaja di connazionali che, con fatiche assidue, coll’onestà, coll’iniziativa intelligente hanno saputo fare la propria fortuna e sono la benedizione di tanti nostri coloni, che, dopo aver fatto nelle loro fazendas qualche risparmio, si mettono in grado di comperare anch’essi il loro terreno cambiandosi in proprietari.

Alcune “fazendas” dello Stato di S. Paolo condotte da Brasiliani.

Tra le fazendas brasiliane quella chiamata Barra in ridente posizione, nel circondario di Mogy-Mirim (Stato di S. Paulo), è importantissima anche perchè i lavoratori adibiti alla sua coltivazione sono tutti italiani e raggiungono, senza contare il personale d’ufficio, di sorveglianza e delle officine, il numero di 65 famiglie. I coloni hanno di riposo il pomeriggio del sabato, le domeniche e gli altri giorni di festa religiosa ed il colono, impossibilitato a lavorare per malattia od infortunio, è dispensato dal servizio finché non è interamente guarito. Il proprietario signor Alves Guedes, è un sincero amico della nostra collettività e ammiratore fervido d’Italia. Nella sua fazenda, vivono da moltissimi anni famiglie di coloni italiani che lo amano come un padre e molti dei quali, uscitine per divenir proprietarì o commercianti, serbano per lui sincera venerazione.

La fazenda Ibicaba, dista 9 km. dalla città di Limeira ed è coltivata a caffè, a canna da zucchero, cotone, olio di ricino, granturco, fagiuoli, cipolle, agli, patate, piselli ed altri cereali. L’allevamento del bestiame in questa fazenda esemplare è notevolissimo. Fin dal 1905 essa aveva 150 costruzioni adibite ad abitazioni dei coloni le cui famiglie italiane erano 103 e possedeva una scuola, una cappella, un cimitero, una fabbrica di mattoni e di tegole, una di aguardente, specie d’acquavite estratta dalla canna da zucchero, una segheria ed una fabbrica di mobili. I coloni ricevevano, per pulire 1.000 piante di caffè, circa 120 lire italiane; per il raccolto 90 centesimi per ogni 36 litri di caffè e un compenso giornaliero di circa L. 3,30.

La fazenda do Barreiro è anch’essa nel circondario di Limeira e misura 120.000 ettari di terreno coltivati a caffè, a pascoli, mentre gran parte è ancora a macchie e bosco. Il suolo ubertosissimo è adattato a qualsiasi coltura sicchè produce anche granturco, fagiuoli, riso, patate, frumento ed orzo per il consumo della fazenda stessa. Si va estendendo l’allevamento del bestiame. Il clima è salubre, le abitazioni coloniche sono igieniche sicchè non v’è da lamentare la grave malattia agli occhi, congiuntivite granulosa o tracoma, così frequente fra i nostri contadini e che fa tante vittime per la incuranza e mancanza di pulizia ed igiene. Di 35 famiglie coloniche 27 sono italiane. Anche in questa fazenda v’è la chiesa con la scuola elementare per i fanciulli e per le bimbe dei coloni e tutti vi sono trattati con riguardo e pagati puntualmente.

La fazenda Conceição è nel circondario di S. Pedro e conta una popolazione di 300 lavoratori i quali hanno abitazioni ottime, spaziose, igieniche. Essa è coltivata a caffè, a canna da zucchero, a frutteto, pascoli e boschi; ed ha un’officina da fabbro ed una da falegname, una fabbrica di mattoni e di tegole, una panetteria con negozio di coloniali per la fornitura dei suoi abitanti, una scuola diurna e serale gratuita, una chiesa, ecc. I medicinali e il caffè vi si distribuiscono gratis a tutti i lavoratori. Vi è stato anche organizzato un corpo musicale i cui componenti sono quasi tutti italiani. L’ajutante gerente, il sorvegliante e l’85% della popolazione è italiana; il 15% è composto da tedeschi, portoghesi, spagnuoli e brasiliani.

Fra l’elemento straniero e spe’cialmente fra gli italiani di S. Paulo, la fazenda Guataparà è fra le più belle, le più vaste e le meglio coltivate del Brasile. Essa, fondata nel 1885, fu portata ad un altissimo grado di produzione da un gerente e da un amministratore italiani; situata nel circondario di Ribeirão Preto gode una splendida posizione e per 14.912 ettari e 13 are si distende in una serie di collidette dal declivio dolcissimo, interrotto qua e là da ampie valli, abbondantemente irrigate. Il clima ne è eccellente per salubrità e temperatura; il terreno è fertilissimo e adatto a tutte le colture. I cereali vi prosperano rigogliosi e molte terre sono ottime per il riso mentre, nei boschi vastissimi, abbonda la caccia, ricca e svariata quantità di legname da costruzione, d’ebanisteria e di spezie; la caccia vi è pure abbondante come negli stagni è ricca la pesca. Nella fazenda lavoravano nel 1909, 2074 coloni di cui 1662 italiani. In una località della fazenda pascolano grossissime mandrie i cui animali son destinati al consumo della popolazione della fazenda. Lo stabilimento, riservato al caffè, è immenso mentre sono molteplici anche le officine di fabbri e di falegnami in cui si fanno i lavori occorrenti non solo per la fazenda ma anche per le fazendas limitrofe. Vi sono due mulini a vapore, una fabbrica di birra, una d’acque gazose, una conceria di pelli e due fabbriche di laterizi.

Nel centro della fazenda è una farmacia largamente provvista e quanto occorre per la medicina e la chirurgia. A capo dei servizi sanitarì è il nostro connazionale dott. I. Guzzo, egregio clinico ed uomo di gran cuore. I prodotti farmaceutici, importati in gran parte dall’Italia, son venduti a prezzi discretissimi, cosa più che importante in paesi dove queste spese sono enormi. Nel centro della fazenda sono anche gli uffici telegrafico e postale, la scuola Italo-Brasiliana, un albergo, un mercato ad uso dei coloni, una macelleria ed una latteria. Questa grandiosa fazenda ha anche una bella chiesa ed un cimitero costruito secondo i più rigorosi precetti igienici. I coloni sono bene alloggiati, trattati bene e pagati puntualmente, nella prima domenica d’ogni mese per il salario mensile, e nella prima quindicina di gennajo di ciascun anno per quello generale.

Un nobile merito di questa fazenda è quello di mantenere parecchi vecchi coloni ormai inabili al lavoro ad intera spesa del proprietario; anzi uno di essi che, nel 1909, contava 100 anni, aveva una pensione vitalizia mensile, i generi di vitto occorrenti pel suo mantenimento ed un frutteto in cui lavorava ancora per proprio conto.

Il dott. Plinio da Silva Prado, proprietario di questa fazenda modello, è amato immensamente dai suoi coloni per la bontà affettuosa con cui li tratta.

Un’altra fazenda degna d’essere ricordata per la bontà del trattamento verso i lavoratori, è quella amenissima di «Capoeira Grande» nei dintorni di Campinas; dei suoi 164 coloni, 135 sono italiani. Ogni famiglia ha una casa separata, igienica e comoda, mentre a ciascuna di queste abitazioni è annesso un terreno i cui prodotti sono di proprietà assoluta del colono e nel quale questi può allevare bestiame proprio.

Altre bellissime aziende brasiliane popolate da italiani sono quelle di «N. S. da Conceição» nel circondario di S. Manoel; di «S. Iecia» nel circondario di Monte Alto de Jaboticabal (Stato di S. Paulo); di «S. Antonio» nel circondario di Rio Claro; di «Duas Pontes» a 20 chilometri da Campinas; di «Monte Alegre» nel Municipio di Piracicata; di «Bella Paysayan» a 2 km. dalla stazione di Santa Rita; di «Palestina» bellissima per posizione nel Municipio di Ribeirão Preto; quella anch’essa amena nel Municipio di Campinas; la «Sertão» ecc.

E finisco col nome della fazenda «Baixadão» nel Municipio di Ribeirão Preto del signor Bento de Camargo il quale merita la devozione delle 12 famiglie d’italiani che vi lavorano perchè appartiene alla schiera eletta di quei fazendeiros che sanno valutare ed apprezzare le fatiche dei vivificatori della terra, a cui i brasiliani debbono il progresso del loro paese.


CAPITOLO VI.

 

Prodotti, Industrie e Commerci Brasiliani.

 

Ricchezze naturali.

L’immenso territorio della Repubblica del Brasile, per la sua posizione geografica, per la diversità del clima, per la varietà del suolo, da tutti i prodotti della terra ed ha ricchezze vegetali, animali e minerali talmente grandi da potersi preparare, con sicurezza di trionfo, il migliore avvenire commerciale ed industriale, purché cooperino insieme mille leve potentissime di progresso come la pace, la concordia degli indigeni fra loro e con gli emigranti, il lavoro assiduo ed intelligente, la costruzione di vaste e potenti reti ferroviarie, (la cui importanza s’impone per la vastità stessa del Brasile che, senza di esse, non può mettere in valore le sue ricchezze), il miglioramento sempre più scientifico e moderno delle varie colture ed industrie ancora allo stato primitivo o assolutamente sconosciute.

La produzione agricola, in ispecial modo, è per il Brasile una fonte inesausta di ricchezze floridissime. Basta ricordare il caffè, il caucciù, il tabacco, il cotone ed il cacao che già, per l’aumento sempre crescente dell’esportazione, in tutti i paesi d’Europa e dell’America del Nord, segnano un cammino sicuro verso prosperità economiche sempre maggiori.

Il caffè.

Tre quarti del caffè consumato nel mondo viene dal Brasile, che ne produce da solo sette volte più di tutto il resto della terra.

La preziosa pianta, importata nel 1727 da Cajenna a Parà, cominciò a prosperare nel Brasile solo nel 1761 e penetrò negli anni successivi in altre parti dello sterminato paese con rapidità e sviluppo veramente straordinari. La coltura del caffè può estendersi sulle rive del Rio delle Amazzoni, sino allo Stato di S. Paulo, che vien chiamato «l’oceano del caffè» e dal litorale all’estremità occidentale dello Stato di Matto Grosso e per una zona di tre milioni di chilometri quadrati. Però la maggior parte del caffè brasiliano viene raccolta nei tre Stati di Rio de Janeiro, San Paolo e Minas Gerães. I due grandi porti d’esportazione sono Rio e Santos il quale ultimo ha dato il proprio nome al caffè prodotto nella sua regione. Dall’enorme aumento di produzione in questi ultimi anni venne di conseguenza la grave crisi del caffè che, per la sovrabbondanza del prodotto, per la mancanza dei compratori, ridusse in condizioni difficili i fazendeiros (piantatori di caffè) che, a vantaggio di questa coltura poco faticosa e molto rimunerativa, avevano trascurato ogni altra produzione agricola, e i nostri coloni che risentirono il contraccolpo nei salarii diminuiti, sfruttati, non pagati puntualmente e nelle asprezze e nei malumori d’una grave crisi economica. Ma la suprema legge della necessità scosse l’inerzia di molti lusingatisi eccessivamente, e fu maestra di buon volere, di energia e di lavoro per cui alla coltura del caffè, furono aggiunte le altre che, col tempo, potessero dare quanto allora era necessario comperare sui mercati stranieri, sicchè nel Brasile le spese d’importazione vanno sempre diminuendo non solo, ma i produttori del caffè, con cure speciali per ottenere raccolti che si distinguano per la buona qualità, con miglioramenti introdotti in tutte le operazioni di coglitura, di essiccazione, di mondatura, ecc., con la cernita sapiente dei semi e la creazione di vivai d’arbusti scelti, destinati a sostituire le piante sfruttate o produttrici di qualità inferiori di caffè, ne hanno protetto il prezzo, che era sceso così in basso, e hanno assicurato al Brasile la signoria assoluta di produzione su tutti i paesi del mondo.

Il caucciù.

Dopo lo sfruttamento agricolo del caffè l’estrazione del caucciù costituisce la più importante industria estrattiva del Brasile.

Il caucciù, è un carburo d’idrogeno che appare sotto forma di granulazioni bianche, sospese nel liquido lattiginoso che circola in vasi speciali, variamente distribuiti negli organi di alcune piante. Questi globuli, agglomerandosi saldamente, formano un corpo solido che, per la sua elasticità caratteristica e per le trasformazioni a cui può andare soggetto, è un prodotto prezioso e di prima necessità per l’industria moderna di tutti i paesi civili. Gli alberi da gomma formano nel Brasile foreste immense; ma ancora non se ne ricava, per i metodi primitivi con cui si estrae, quell’utilità che potrebbero dare; perciò, nonostante i notevoli progressi realizzati fino ad ora, rimane aperto un vastissimo campo di sfruttamento per l’industria europea più evoluta. Il caucciù si sfrutta specialmente negli Stati settentrionali, nello Stato delle Amazzoni e nello Stato di Parà; in minor quantità negli Stati meridionali. I vegetali brasiliani che forniscono il caucciù sono numerosi e svariatissimi e i procedimenti dell’estrazione sono anch’essi differenti per cui si hanno diverse specie di questo prodotto, conosciuto sul mercato col nome di: caucciù fino, caucciù semifino, caucciù ordinario e sernamby. Il migliore è quello che si ottiene coagulando il lattice dell’Hevea brasiliana della valle Amazzonica.

Nel bacino sterminato delle Amazzoni, dalla sommità delle Ande alla riva dell’Oceano, nei villaggi solitari e nelle grandi città di Parà e Manáos la parola «borracha» che significa piccolo otre dalla forma di certi recipienti che gl’Indiani preparavano col caucciù, colpisce continuamente il viaggiatore. Nelle barche e nei battelli a vapore, che solcano gli innumerevoli corsi d’acqua di tutta questa regione, nei magazzini di tutti i centri di scambio commerciale, si vedono accatastate le diverse varietà di caucciù; nè potrebbe essere altrimenti quando il solo Brasile fornisce più di 30.000.000 di chilogrammi all’anno e quando solo tre o quattro Stati del Sud non ne producono. A San Paulo e a Minas Gerães si può assistere all’organizzazione di vere spedizioni di duecento o trecento operai che partono per andare a sfruttare la gomma. L’odissea dolorosa di questi disgraziati lavoratori, oppressi da un continuo debito verso il padrone e da privazioni indescrivibili, comincia fin dalla partenza per la foresta. Se sono di Cearà furono spinti alla dura fatica dalla fame, per le gravi siccità che contristano quella regione, e se sono di altra origine furono spinti non solo dalla miseria ma dall’ignoranza propria e dall’inganno altrui.

Quando un patrone seringueiro ha portato gli uomini sul posto, dove vengono erette una o più baracche centrali, che servono per conservare le provviste di viveri e dove si aduna la gomma, assegna ad ognuno un pezzo di bosco fra due sentieri che vengono tracciati in modo che si riuniscano vicino alla capanna, egli dà poi i viveri che consistono in farina di manioca, carne salata, fagiuoli, zucchero, caffè, grasso, sale, olio o petrolio, e gli attrezzi necessari per il lavoro.

Il lavoratore parte dalla capanna al mattino di buon’ora e fa con un’ascia, a tutti gli alberi che gli sono affidati alcune piccole incisioni. Appena fatto il foro egli vi spinge dentro con forza il becco d’una scodellina e, se occorre, fissa meglio questa all’albero con un po’di terra argillosa come fosse mastice. Questa operazione occupa tutta la mattinata sicchè, quando il lavoratore giunge alla capanna, è l’ora della colazione e, mentre egli mangia, le scodelline si riempiono. Appena finito egli riprende il suo giro, durante il quale stacca da ogni pianta le scodelle, ne vuota il succo prezioso in un recipiente che ha portato con sè e le lascia a terra per trovarle pronte il giorno dopo. Intanto raccoglie anche le pellicole di gomma formate dal latte coagulato lungo le ferite precedenti dell’albero, o sulle scodelline o per terra e le ripone in un apposito sacco; finché, procedendo sempre così, arriva di nuovo alla capanna dove inizia subito le operazioni necessarie per la coagulazione di questo latte. Questa si compie su un fornello e in una grossa bacinella, al fuoco dei frutti di certe palme speciali, che fanno poca fiamma, ma dànno un fumo molto denso. Quando il latte è caldo, il lavoratore ne cosparge una larga spatola di legno che espone al fumo e che gira continuamente come uno spiedo. In poco tempo avviene la coagulazione del sottile strato di latte attaccato alla spatola ed egli ve ne sparge una seconda e poi una terza volta, ecc.; fino ad esaurire il latte della giornata. Allora toglie la spatola dal fuoco ed ha cura di tenerla al sole di giorno e ben riparata la notte.

Così, ogni giorno, si va formando intorno alla spatola stessa una grossa pallottola di gomma a strati successivi ma quando comincia a pesar troppo, l’operajo ne sfila la spatola e vi sostituisce una specie di bastone cilindrico in modo che possa poggiarlo su due sostegni e farlo girare più facilmente; così la pallottola può raggiungere il peso di circa 15 kg.; ma le operazioni ora dette richiedono molte cure perchè la gomma risulti buona. Ma siccome è difficile realizzare praticamente tutte le regole che per ottenere questo risultato sarebbero necessarie, si ottengono tre qualità di gomma; quella fina, preparata col lattice puro e fresco, che è stato sottoposto convenientemente all’operazione dell’affumicatura; quella semi-fina preparata col lattice che abbia subito un principio di fermentazione e che non è stato poi bene affumicato; quella ordinaria che proviene da diversi lattici mescolati insieme e contiene varie impurità derivanti dal cattivo stato dei recipienti usati; e, finalmente, il «sernamby» che è costituito dagli avanzi della coagulazione, raccolti sulle pareti dei recipienti e dalle gocce che colano e si seccano sugli attrezzi da lavoro durante le incisioni e che vengono chiamate per la loro forma «chôro» cioè: pianto, lacrime. E difatti il mesto significato della parola forse non è puramente sentimentale ma veracemente simbolico; poichè il processo dell’affumicatura del lattice riesce assai nocivo alla salute dei seringueiros. Pure i numerosi procedimenti chimici o meccanici che la moderna scienza ha suggerito non hanno dato prova di praticità commerciale, perchè se l’operazione raggiunse maggiore rapidità e il prodotto una maggiore purezza, il commercio ha considerato il valore del caucciù inferiore essendone alterate le proprietà. L’affumicatura perciò continua ad essere il processo preferito, nonostante sia così primitivo e costi gravissimo danno a migliaja di uomini i quali vengono anche decimati dal modo di vita che devono condurre nella foresta per molti e molti mesi e per l’insalubrità di alcuni luoghi della regione amazzonica che, come già dissi, sana sulle sponde più elevate dei grandi fiumi, così del Madeira, del Jurnà, del Tarauara e del Tefé; nelle parti basse, sulle sponde dei piccoli corsi d’acqua, è palustre, pantanosa ed umida.

Nell’intera produzione mondiale del caucciù, valutata nel 1907 a 65.000 tonnellate, quella del Brasile raggiunse, nel 1905, 34.960 tonnellate.

L’estrazione del caucciù del Brasile si fa principalmente per gli Stati Uniti del Nord, per l’Inghilterra, la Francia, la Germania, l’Uruguay, il Belgio e l’Italia.

Il «mate»

Come la grande ricchezza delle campagne degli Stati brasiliani del Nord è costituita dal caucciù, così quella delle campagne degli Stati del Sud è rappresentata dal «Mate», piccolo arbusto chiamato anche «thè del Brasile» che dà uno dei più interessanti prodotti da poco conosciuto ed usato anche in Europa. La pianta del «Mate» cresce spontanea e abbondantemente negli Stati del Paranà, di Santa Catharina e di Rio Grande do Sul e Matto Grosso; le sue foglie, seccate ed infuse nell’acqua calda, forniscono una bevanda simile al vero thè, gradevole e, secondo alcuni medici, ricca di grandi proprietà igieniche e nutrienti e capace di combattere il flagello dell’alcoolismo.

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Indiani che trasportano l’erba «Mate» al mulino.

Il mate occupa un posto eminente nell’alimentazione di diversi Stati brasiliani e di parecchie nazioni dell’America del Sud; ma il suo consumo è destinato ad aumentare e a propagarsi sempre più nell’America del Nord ed in Europa. I paesi che consumano le maggiori quantità di mate del Brasile sono, per ordine d’importanza, la Repubblica Argentina, l’Uruguay ed il Cile; ma la produzione del mate al Brasile è ancora lontana da ciò che essa potrebbe essere, e da noi l’uso di questa bevanda è ancora troppo sconosciuto.

Il cacao.

La pianta del cacao cresce allo stato selvatico nella pianura dell’Amazzonia (dove gli Indiani ne raccolgono le bacche), specialmente nelle foreste che seguono le rive dell’immenso fiume ed in quelle del Tocantins e si coltiva in gran quantità nello Stato di Bahia, che ne produce ottimo. L’esportazione del cacao brasiliano è in continuo aumento e gran parte della cioccolata che usiamo in Europa è fatta con esso,

Intanto la coltura di questa pianta si sta diffondendo nel Brasile anche sul litorale dello Stato di Rio de Janeiro, con grande vantaggio, perchè non esige grande capitale e le cure da prodigarle possono essere affidate anche alle donne ed ai fanciulli.

Il tabacco.

È coltivato soprattutto nella provincia di Bahia che da qualità stimatissime; ma anche nelle provincie di Minas Gerães, di Goyas, di S. Paulo, del Paranà e del Parà. L’esportazione del tabacco ha raggiunto nel 1907 e nel 1908 questa quantità notevolissima:

  19071908
Tabacco sfilato;kg.10.4725.057
» in corda:»533.071685.177
» in foglie:»29.146.44114.533.630

Lo zucchero.

Nel Brasile, che pure ha tutte le condizioni naturali del suolo favorevolissime per la coltivazione della canna da zucchero, questa coltura non è ancor giunta al grado di perfezione a cui sono pervenuti altri paesi.

Il cotone.

È certamente uno dei prodotti vegetali più importanti del Brasile e da esso, un’industria divenuta in poco tempo gagliarda e prosperosa, trae motivo di florido commercio. Questo arbusto cresce rigoglioso in quasi tutti gli Stati del Brasile ma in ispecial modo nelle province del Sud; così a Pernambuco, ad Alagoas, a Parahyba ed a Rio Grande do Sul. Un tempo lo Stato di S. Paulo fu grandissimo produttore di cotone tanto da esportarne perfino da 7000 ad 8000 tonnellate all’anno; ma fin dal 1876 declinò ed oggi ne produce appena il quarto della quantità consumata dalle 18 filature e dalle tre fabbriche d’olio che possiede.

Altri prodotti vegetali.

La manioca, che cresce bene nei terreni asciutti della zona tropicale, rende una grande quantità di farina finissima che si estrae dopo speciali trattamenti dalle radici, le quali per sè stesse sono velenose, ma, per la pressione e l’evaporazione, perdono l’acido cianidrico, e nella manioca in polvere dànno la base dell’alimentazione generale perchè essa sostituisce il pane, o mescolata con fagiuoli, pesce, carne, ecc. fornisce una minestra sana, gustosa e nutriente.

Il liquido che cola dalla compressione della manioca tiene sospeso sulla sua superficie una fecola finissima che, raccolta, sottoposta a speciali lavaggi, poi seccata con molta cura al sole, da un prodotto che si usa come amido e che, cotto al forno, costituisce un alimento eccellente col quale si fanno biscotti e dolci squisiti, e fatto bollire prepara una zuppa leggera e nutritiva per i bambini ed i convalescenti. E dal fiore di questa fecula, si prepara la Tapioca di cui tutti conosciamo il gran valore nutritivo.

Nel Brasile vengono anche coltivati con molta fortuna il grano, specialmente nella feconda vallata Amazzonica, che secondo Humboldt diverrà «il futuro granaio del mondo», il fagiuolo nero molto diffuso, le patate, ecc. La vigna infine è coltivata dai nostri connazionali nelle provincie del Sud, ma per estendersi ha bisogno che la viticoltura e l’industria enologica sieno eseguite secondo i moderni sistemi scientifici.

In quanto ai cereali, il Brasile è ancora lontano da produrre quanto potrebbe per la sua fertilità, ma il lavoro degli immigrati specialmente nello Stato di Rio Grande do Sul tende sempre più a portarsi verso questo genere di coltura con grande profitto commerciale ed industriale.

Le foreste brasiliane, fonti di grandi ricchezze, non sono state ancora utilizzate come potrebbero nei loro prodotti di legname prezioso, di piante medicinali, tessili, produttrici di materie coloranti, di olio, di fiori superbi, ecc. e serbano lo sviluppo di industrie e di commerci floridissimi che si svolgeranno magnificamente quando i mezzi di trasporto e di comunicazione saranno anch’essi sviluppati.

Nello Stato di San Paulo incomincia tuttavia ad avere importanza l’industria dei fiori e delle frutta, e la coltivazione delle ortaglie e delle leguminose; mentre s’è iniziata la coltura del gelso che, quando permetterà di fare vantaggiosamente l’allevamento del baco da seta, darà un cespite rigogliosissimo di ricchezza. I nostri coloni, specialmente delle regioni settentrionali e meridionali d’Italia, i quali conoscono così bene questa industria fiorente, potranno certamente dedicarvisi un giorno anche nel Brasile.

Le loro donne troverebbero in questa industria, tutta casalinga, un’occupazione adatta e proficua. Altrettanto dicasi per l’apicoltura che, data la ricchezza dei fiori e la varietà delle api, sarebbe molto rimunerativa. L’industria anzi del bestiame, delle api, delle fibre tessili, del baco da seta, delle ortaglie, del legname e perfino delle orchidee, sarebbe fonte d’infinite risorse per i nostri coloni.

Prodotti animali.

La fauna dei vasti territorii brasiliani è anch’essa ricchissima e forse nessun paese al mondo può competere co’n quella brasiliana per la bellezza e la varietà. È certo che gli uccelli bellissimi dalle penne brillanti, gli insetti meravigliosi, i pesci d’ogni dimensione e specie i piccoli felini le cui pelli sono pregevolissime, costituiscono una ricchezza che interessa da vicino le industrie ed i commerci. L’allevamento del bestiame, propriamente detto, specie negli Stati del Sud, va prendendo uno sviluppo sempre maggiore e, fatto con intelligenza ed amore, procurerà vantaggi enormi specialmente ai nostri coloni, che non dovrebbero trascurarlo nel terreno di loro proprietà, da cui sarebbe per essi così facile trarre il modo d’esercitare tante piccole industrie provvidissime.

Più della pianura delle Amazzoni, in cui le piene del fiume e degli affluenti costituiscono serii ostacoli per l’allevamento, le regioni del Sud, il Paranà e sopratutto il Rio Grande do Sul, si prestano molto bene a tale intento.

Da poco tempo si tende a dare sviluppo anche ai suini, al cui allevamento il Brasile si presta in tutto il territorio, poichè questi animali prosperano sanissimi ed ingrassano rapidamente. L’allevamento delle pecore è stato finora trascurato, mentre gli altipiani a nord della vallata del Rio delle Amazzoni e le province temperate del Sud sarebbero adattissimi.

I fiumi sono molto pescosi, e sulle spiagge brasiliane il tonno e le sardine sono abbondanti e, qualora s’organizzasse convenientemente l’industria della pesca, sarebbero oggetto d’uno sfruttamento di grande reddito.

Nelle acque dolci vivono il Pirarucù ed il Salmone, che dànno luogo ad un commercio considerevole.

La caccia è molto sviluppata, ma il commercio ne è minimo. Le specie più stimate, che potrebbero essere oggetto di esportazione rimuneratrice, sono la lepre, il macuco, le tortorélle, ecc.; il mercato di Rio de Janeiro riceve giornalmente una gran quantità di uccelli infilati, ma non quelli vivi che sono ricercatissimi per la bellezza delle piume e per la dolcezza del canto, come per esempio il delizioso Uccello-mosca, i Pappagalli, gli Arara, i Perocchetti, le Sabie, vendute certe volte a caro prezzo, i Frigoni, le Guarè splendide, le Gazze bianche (Ardea), lo Struzzo, il bel Cigno dal collo nero del Rio Grande del Sud, la cui industria d’esportazione non è ancora sufficientemente esercitata.

Prodotti minerali.

In quanto alla produzione minerale il Brasile va occupando lentamente, ma con sicurezza, il posto che gli spetta. Sono da notarsi i giacimenti d’oro, di rame, di ferro nello Stato di Minas Gerães, di diamanti a Bahia, nel Paranà, a Goyaz, di petrolio scoperti da poco tempo a Bahia ed a Parahyba del Nord; nè si può tacere delle miniere di manganese, di piombo, di bismuto, d’antimonio, di salgemma, di salnitro. Un cenno speciale meritano le sabbie monazitiche da cui si ricava il thorium usato nella fabbricazione delle retine per l’illuminazione ad incandescenza e la cui esportazione, che nel 1906 ha raggiunto 435 tonnellate, è rivolta specialmente verso i porti tedeschi. L’esercizio delle miniere è proceduto finora con metodi primitivi e non ha dato un rendimento proporzionato alla ricchezza delle terre; ma la recente introduzione del macchinario moderno imprimerà un grande movimento all’industria mineraria. Da qualche anno le miniere di Minas Gerães, fra cui trovasi l’importante giacimento dei diamanti di Diamantina, sono state vivamente attivate, mentre si fondano nuove compagnie brasiliane ed estere per lo sfruttamento dei terreni diamantiferi che si trovano anche a Bahia, nel Paranà, a Goyaz e sopra tutto vicino ad Ouro Preto e che danno topazi, smeraldi, birilli, ametiste, granate, tormaline, ecc. Fra le altre ricchezze mineralogiche importanti del Brasile bisogna citare i giacimenti di rame di gran valore e minimamente intaccati; e strati, massi e montagne di ferro abbondantissimo e di prima qualità.

Le industrie.

L’alto prezzo del combustibile e la solita scarsezza dei mezzi e vie di trasporto e la troppo giovane età della Repubblica, hanno ritardato lo sviluppo dell’industria e il rapido suo progresso. Oggi la più importante industria manifatturiera brasiliana è quella dei tessuti di cotone; ma molte, anzi moltissime sono all’inizio o addirittura da fondarsi.

L’agricoltura però, fonte principale di ricchezza pel Brasile, può dare impulso ad una quantità di manifatture, che ne trasformano i prodotti perchè sieno messi in commercio. La tessitura della lana si volge anch’essa verso un ottimo avviamento; come si contano in un certo numero nello Stato di San Paulo le manifatture degli strumenti d’acciajo, di forni e le fabbriche di scarpe e di cappelli di paglia; ad ogni modo il Brasile è ancora tributario dell’estero per certe derrate alimentari di prima necessità, come il frumento, il burro, le carni, le conserve, ecc. che dovrebbero suggerire ai nostri connazionali quali industrie renderebbero guadagni vantaggiosi o almeno quali correnti di scambio si potrebbero utilmente e vicendevolmente stabilire fra l’Italia ed il Brasile, con somma convenienza del commercio delle due nazioni.

Il commercio del Brasile con l’estero e specialmente con l’Italia.

Il commercio che fa la fortuna del Brasile non è tanto quello interno quanto l’estero per la continua diminuzione delle importazioni e l’accrescimento delle esportazioni, indici sicuri e luminosi del progresso economico e civile d’ogni paese.

Da un quadro statistico relativo all’importazione dei prodotti stranieri al Brasile durante gli anni 1907 e 1908, risulta che i prodotti italiani tengono per importanza l’ottavo posto, segno palpabile della nostra disorganizzazione coloniale, poichè sproporzionatissimo al numero dei nostri connazionali, al frutto del loro lavoro su quelle terre e a quanto sarebbe possibile concludere commercialmente fra la nostra Patria ed il Brasile. Sicchè, mentre nel 1908 l’Inghilterra ha importato al Brasile merci per il valore di 10.224.565 di lire sterline e la Germania per 5.721.682 di lire sterline, l’Italia ha importato per solo 1.204.624 di lire sterline.

Così, riguardo all’esportazione dei prodotti brasiliani nei principali paesi stranieri, l’Italia tiene il decimo posto per l’importanza delle merci brasiliane introdotte da noi nel 1908, venendo cioè dopo gli Stati Uniti del Nord che ne hanno ricevute per 17.706.932 di sterline, mentre essa ha importato un valore di appena 505.049 sterline, dopo la Germania, l’Inghilterra, la Francia, l’Olanda, l’Argentina, l’Austria-Ungheria, il Belgio e l’Uruguay.

Esaminando i diversi prodotti italiani, inviati durante il 1908 nel Brasile, si vede come l’Italia tenga il primato in confronto alle altre nazioni importatrici, coi formaggi, vermouth e zolfo; come tenga il secondo posto nei vini, negli olii d’oliva, nelle conserve alimentari, nella paglia per scope, nella canapa e nella juta greggia e nei relativi filati e nei marmi. Essa tiene il terzo posto negli agli e cipolle, nel riso e nei filati di cotone; il quarto nei filati di seta, nelle frutta e nei legumi secchi; il quinto nei filati di lana.

È strano come l’Italia non spedisca le patate, mentre altri paesi ne inviano per 212.610 quintali e neppure fagiuoli e fave che, nella maggior quantità, vengono spediti dal Portogallo. Così l’Italia, data l’importanza ed il perfezionamento delle sue nuove fabbriche, potrebbe mandare anche la birra, che va nel Brasile dall’Inghilterra per 2.915 ettolitri e dalla Germania per 425 ettolitri.

Da tutto ciò si deduce, purtroppo, che il commercio dell’Italia col Brasile è oltremodo misero.

È deplorevole che i due paesi non sappiano ricavare nei loro rapporti ed interessi commerciali, resi più stretti dalla nostra emigrazione e colonizzazione, che è per il Brasile una leva potente di progresso, vantaggi maggiori con armonia di criterio e colla dimenticanza di preconcetti e malintesi.

Il Sistema monetario brasiliano.

L’unità monetaria brasiliana sarebbe teoricamente il real (plurale: reis) che, avendo un valore piccolissimo, non esiste in pratica. Si usa invece il suo multiplo mille (mil reis) come base di tutto il sistema monetario, che è sempre decimale. Mil reis equivalgono alla moneta italiana lire 1,55, quindi una nostra lira equivale 640 reis. Il conto (conto de reis) vale un milione di reis; cioè 1.000 mil reis, o circa 1.600 lire italiane.

La carta-moneta ha corso forzoso con biglietti del Tesoro Nazionale e della Cassa di Conversione, al portatore. Essi si distinguono per il colore, la grandezza o la larghezza; ma siccome s’insudiciano presto si corre pericolo, se non si è attenti, di rimanere ingannati. L’instabilità del cambio, prodotta dall’abbondanza di carta monetaria, ha reso necessario l’istituzione della Cassa di Conversione col cambio a 15 pence per milreis,

In quanto al cambio della moneta da effettuarsi dai nostri emigranti vedano essi le avvertenze nell’ultimo capitolo, al punto riguardante il Banco di Napoli.

Pesi e misure brasiliane.

Nel Brasile è in vigore il sistema metrico decimale e quindi i pesi e le misure sono gli stessi usati in Italia. Però sono in uso ancora alcune antiche misure fra cui principalissima è l’Arroba che serve per misurare il caffè e che corrisponde a circa 15 chilogrammi.

Le distanze son misurate con la lega paolista, che vale 6.600 metri.

La misura legale di superfìcie è, come in Italia, l’ara; ma, nell’uso comune, s’adopera l’Alqueìre, che equivale a 2 ettari e 42 are.

La misura di capacità per i vini è la Pipa, che corrisponde a 479,16 litri.


CAPITOLO VII.

 

Istituzioni, pubbliche brasiliane.

 

Istituti finanziari.

Il Brasile è ancora povero di istituti di credito e specialmente di casse agricole di cui si sente vivo bisogno. L’Istituto più antico è il Banco do Brazil, che è amministrato da un presidente e da un direttore del cambio di nomina governativa e da tre direttori eletti dagli azionisti. Le sue stesse tradizioni e la collaborazione del Governo assegnano al Banco do Brazil il primo posto fra tutte le banche brasiliane.

A Rio de Janeiro esistono inoltre antiche banche di deposito e di sconto, amministrate da Brasiliani e da Portoghesi, come il Banco Commerciale e il Banco do Commercio,

A São Paulo la Banca italiana, quantunque di recente formazione, ha un altissimo credito ed è un istituto il quale dimostra la necessità di queste istituzioni perchè gli italiani sieno sottratti allo sfruttamento di disonesti speculatori ed abbiano anche il valido ajuto del capitale con cui la loro energia di lavoro e l’onestà possano fruttificare in proficue iniziative agricole, o industriali, o commerciali.

A Rio ed a San Paulo una banca belga presta su ipoteche rurali ed urbane.

Molte aziende commerciali s’occupano anch’esse di affari bancarii; la più importante in tutta l’America del Sud, è un’antichissima casa tedesca, che ha la sua sede principale ad Amburgo.

Istruzione pubblica e coltura.

Per l’istruzione pubblica vedasi a pag, 19 del I capitolo.

Scuole italiane.

Nel vasto territorio brasiliano le scuole italiane sono sorte esclusivamente per iniziativa privata ma il loro numero non è adeguato a quello dei coloni, neppure nello Stato di São Paulo dove sono numerose e per lo più molto frequentate ma non possono in genere dare, per mancanza di discernimento pedagogico, per le esigenze della vita dell’insegnante, in vivo contrasto con quelle dell’insegnamento, il risultato che sarebbe desiderabile.

La prima scuola italiana fu fondata a Rio de Janeiro dalla Società italiana di beneficenza, la quale per molti anni si assunse il nobile compito di promuovere tra i figli degli operai italiani l’istruzione elementare e lo studio della lingua italiana anche tra i figli del paese. Ma l’edificio, così amorosamente architettato, si sfasciò a poco a poco perchè non fu sostenuto dalla pratica della scuola; ed ora solo l’opera energica del Governo italiano potrebbe, con forti sussidi e migliorie tecniche, risollevarlo dalle sue fondamenta con nuova efficacia di vita. Migliore fortuna ha avuto la scuola italiana di Cascatinha un piccolo borgo di 3500 abitanti, poco distante da Petropolis, dove si trovano più di 2000 italiani, alcuni impiegati nella fabbrica di tessuti che da vita alla località e parte dediti all’agricoltura; la scuola è mantenuta dalla Società italiana di Mutuo Soccorso ed è molto frequentata. Nello Stato di San Paolo vi sono moltissime, ma pure insufficienti, scuole private. Nella Capitale paulista le scuole sono circa cinquanta, e nello Stato trentasei, alcune con interi corsi complementari.

Ma quanto occorre ancora perchè le nostre colonie abbiano soddisfatto il bisogno estremo dell’istruzione e dell’educazione almeno colle elementari! Queste, gratuite, bene organizzate e amorosamente fornite di capaci e volenterosi insegnanti, sarebbero una vera benedizione. Che valgono le scuole medie se non si è bene impiantata e sviluppata e diffusa la scuola elementare, quella che è veramente necessaria per i figliuoli degli emigranti?

Essa dovrebbe sorgere ovunque la nostra gente lavora ed ha bisogno di luce intellettuale per migliorare e confortarsi e per istruire ed educare i figli i quali inselvatichiscono come piante incolte nella solitudine delle fazendas sconfinate, lontane dai pochi centri di cultura, senza che una voce educativa ed illuminata ne apra l’intelligenza, ne educhi il carattere, ne svolga le energie, ne prepari il progresso ed il benessere e ricordi loro la patria lontana, insegnandone la lingua e la storia, inculcando nelle anime il sentimento della dignità ed il rispetto ai propri doveri e la coscienza dei propri diritti di lavoratori, di emigranti e di italiani. La Dante Alighieri ha nel Brasile una grande missione patriottica e fraterna da compiere a vantaggio dei coloni e a vantaggio degli insegnanti.

La cultura brasiliana.

Da un tempo relativamente breve, cioè da quando le grandi masse emigratrici hanno portato nel Brasile, col tesoro inesauribile delle braccia, anche un patrimonio glorioso di cognizioni e di civiltà avanzata, la Repubblica sud-americana è andata acquistando un alto grado di intellettualità e di elevatezza. La nazione è ancora giovane, quindi non può avere una tradizione lontana di coltura e di glorie nelle lettere, nelle scienze e nelle arti; ma ha nei suoi figli una tale felice predisposizione d’ingegno e di temperamento che il Brasile è considerato come il solo paese latino-americano che possegga una letteratura.

Il Brasile è, fra le nazioni americane, forse per l’influsso della bellezza maestosa della sua natura, il paese dei poeti. Fin dall’epoca coloniale, infatti, i poeti indigeni impressionarono i Portoghesi, allora padroni del paese, e la loro fama ha vinto il tempo, sicchè anche oggi le moderne generazioni ammirano vivamente la ingenua e fantasiosa poesia indigena, la plejade dei poeti che fiorirono nel secolo decimottavo e la letteratura nazionale. Forse non è inutile ricordare il poeta lirico Thomaz Gonzaga, chiamato il Petrarca brasiliano, Odorico Mendes, illustre latinista ed ellenista, che tradusse parte dell’Eneide e delle Georgiche di Virgilio; poi i poeti dell’indipendenza nazionale e quelli della letteratura brasiliana contemporanea. Né bisogna dimenticare che l’ingegno brasiliano s’è affermato anche nelle scienze e nelle arti in cui l’Italia gli fu ispiratrice costante e migliore; infatti basta giungere a Rio de Janeiro, a S. Paolo, a Santos, insomma nei grandi centri brasiliani, per ammirare il trionfo dell’arte nostra nell’architettura armoniosa e nella bellezza delle città rinnovate, e basta frequentare un poco la società per accorgersi come in essa si conoscano benissimo la lingua, la letteratura, l’arte, le scienze e la filosofia italiane, come vi si parli e scriva correttamente la nostra lingua.

A Rio de Janeiro i nostri maggiori artisti drammatici sono popolari e i grandi lirici delle opere e dei drammi italiani, dalla Ristori, dal Rossi, dal Salvini fino al Tamagno, vi hanno celebrato la gloria dell’arte e del genio nostro. È vero che, nelle arti in genere e specialmente nell’architettura, noi occupiamo, nel Brasile, un’invidiabile posizione; ma nel teatro abbiamo una priorità assoluta, tanto nella prosa quanto nella musica e questo per il carattere dell’arte italiana, per l’affinità di gusto e di temperamento coll’anima brasiliana e per il numero rilevante dei nostri artisti. Infatti la musica italiana è la prediletta e la meglio compresa dai brasiliani che, senza dubbio, sono il popolo più musicale di tutta l’America. Nessun artista, per quanto celebre, di altre nazionalità, ha saputo mai far prorompere dall’anima brasiliana sentimenti appassionati e se ebbe l’applauso, questo fu corretto come la sua arte, fu il segno d’un’ammirazione al nome di lui, anzichè lo slancio veemente e spontaneo d’una folla profondamente commossa e trascinata all’entusiasmo dalla potenza irresistibile e dal calore d’un’arte compresa e sentita.

Il nome del Brasile è legato alla medicina, alla chirurgia, al genio civile, alle più audaci manifestazioni dell’intelligenza umana; così alla navigazione aerea di cui i brasiliani attribuiscono la priorità al padre gesuita Bartolomeo de Gusmão, nato a Santos, nello Stato di San Paolo, nel 1675 e morto nel 1724. Da Bartolomeo de Gusmão a Santos Dumont il Brasile conta molti figli che si votarono al problema della navigazione aerea; tra essi Augusto Severo morto tragicamente a Parigi in un’ascensione nel 1902.

 

OPERE DI BENEFICENZA.

 

La virtù caratteristica del Brasiliano, che fa perdonare e la corruzione prodotta dalla ricchezza nei grandi centri e quella dell’ignoranza nelle campagne o ai confini delle foreste, ove gli europei stessi non di rado imitano i costumi rozzi e moralmente poco evoluti degli indiani ed anche la grande passione del giuoco, che è una vera piaga di tutta l’America, è la carità.

Nella sola Capitale federale si contano quindici istituti di beneficenza fra cui, degna di ammirazione, è la Santa Casa da misericordia, vasto e magnifico ospedale sorto dalla casetta, fondata nel 1582, per curare gl’infermi, dal gesuita Josè de Anchieta e dove oggi sono ammessi i malati di tutte le nazioni e di qualsiasi religione.

Insieme colle istituzioni laiche di beneficenza, fioriscono, in un solidale sentimento di carità fraterna, le congregazioni e gli istituti religiosi, le società per la protezione dei fanciulli, dell’infanzia abbandonata e degli orfanelli.

Fra le istituzioni filantropiche, fondate o dirette da sacerdoti cattolici e specialmente italiani, è importantissimo l’Orfanotrofio Cristoforo Colombo, fondato dal Padre Marchetti, ideato quindi e compiuto dai connazionali nostri; quest’orfanotrofio raccoglie più di 400 fanciulli e bambine ed appartiene alla Congregazione di S. Carlo, fondata dal defunto monsignor Scalabrini, vescovo di Piacenza, nella quale città è la sede della Congregazione.

Un istituto nobilissimo di beneficenza, del quale non posso tacere, è quello di Santos (Stato di S. Paolo) chiamato Doña Escolástica Rosa; ideato da un ricco signore della città coll’intento generoso di formare in esso un orfanotrofio moderno ove i fanciulli più disgraziati potessero dimenticare la propria sciagura.

L’istituto è costruito su una magnifica spiaggia, dagli orizzonti sconfinati verso il mare e verso i campi, secondo i dettami ultimi della pedagogia e dell’igiene in ciò che riguarda le scuole, i locali ed i collegi; ma l’ordinamento morale è forse anche più ammirabile. Infatti per esso i fanciulli non s’accorgono del favore che il ricco fa ai poveri e la loro condizione d’orfanelli è considerata come un semplice accidente che non li priva di nessun diritto e per cui l’insegnamento è impartito come un dovere della società che cura i suoi figli e li rende utili, e questo nel duplice senso umano ed economico, cioè secondo che il sentimento le consiglia e l’interesse proprio le impone. Questo istituto di Santos è destinato a combattere l’ospitalità oppressiva, l’insegnamento impartito sotto forma d’elemosina, le infinite tristezze degli orfanotrofi, il preconcetto antiquato d’una beneficenza che umilia e rattrista chi la riceve e ad essere un esempio vivente di redenzione per tutti gli orfanelli.

Ospedali italiani.

Nel giorno 14 agosto 1904 si inaugurarono a San Paolo Capitale gli edifici dell’unico ospedale italiano di tutto il Brasile: Ospedale Umberto I, lunga aspirazione ed antico voto della Società italiana di beneficenza. Al primo gennaio 1905 l’Ospedale nostro accoglieva i primi malati che, durante l’anno, raggiungevano il numero di 710.

Un altro grande istituto italiano, che sorse per opera dell’illustre oculista prof. Pignatari e di Padre Angelo Bartolomasi, alla fine del 1903, è l’Ospedale Oftalmico di S. Paolo, unico nel genere in tutto il Brasile ed opera veramente umanitaria perchè in esso si curano le malattie degli occhi, così frequenti nello Stato, non solo, ma si accolgono ancora individui di qualsiasi nazionalità e anche perchè questa istituzione caritatevole cerca di essere utile al nostro colono in tutti i modi, assistendolo nelle malattie e ricoverandolo quando voglia ritornare in patria.

OPERE PUBBLICHE.

Ferrovie,

In un paese immenso come il Brasile, intersecato da foreste sterminate e da fiumi imponenti e quasi tutto costituito da un altipiano, lo sforzo costante degli Stati, del Governo federale, di quanti vogliono alimentare e il commercio e le industrie della Repubblica, è sempre quello di vincere le difficoltà del suolo, per ottenere comunicazioni dirette e rapide fra l’interno e la costa. La prima ferrovia del Brasile fu quella che parte dalla baja di Rio de Janeiro e giunge fino alle falde delle montagne sulla strada di Petropolis; essa fu inaugurata il 30 aprile 1854. Da quella modesta iniziativa gli ingegneri brasiliani ed italiani si spinsero ad opere sempre più audaci, di cui la prima fu la costruzione della Ferrovia Centrale del Brasile, che, attraversando la Serra de Mantiquera, si spinge fino a S. Paulo e agli estremi lembi di Minas Gerães, ed ha in riva al mare, a vantaggio del traffico delle merci, una vasta stazione marittima mercantile. Questa importantissima ferrovia va sempre estendendo i suoi tronchi per allacciare fra di loro varie regioni lontane. Quella poi Madeira-Mamorè, che attraversa l’Amazonas, Matto Grosso, la Bolivia, che racchiudono grandi ricchezze, sarà la più importante di tutta l’America del Sud.

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Viadotto della ferrovia nello Stato del Paranà.

Moltissime altre vie ferroviarie sono ancora in costruzione e molte, col tempo, s’inizieranno, poichè da esse il Brasile attende il maggiore benessere materiale, economico, industriale, commerciale mentre le popolazioni, sperdute lontano dai grandi centri, le invocano come il mezzo potente e forse unico per l’acquisto e lo sviluppo della civiltà.

Queste grandi opere pubbliche e il risanamento magnifico e completo della Capitale Federale per opera dell’illustre dottore Osvaldo Cruz, orgoglio della sua Patria, dalla terribile febbre gialla, che pochi anni fa la rendeva spopolata, lo sventramento dei vecchi centri, l’ardore del progresso, le molteplici istituzioni di beneficenza, che hanno fatto chiamare il Brasile «un paese sopratutto caritatevole», accordando a questa repubblica l’elogio maggiore che si possa fare di un popolo; destinano la giovane nazione latina a divenire il centro d’una grande civiltà.


CAPITOLO VIII.

 

Il Capitolo degli Emigranti.

 

Avvertimenti.

Da tutto il volumetto, scritto con amore di patria e con desiderio di verità, i nostri emigranti comprenderanno quanto sia grave il passo che stanno per fare allorché si decidono di abbandonare la terra ove nacquero, le proprie abitudini, la famiglia, gli amici; quanto insomma fino ad oggi costituì la loro esistenza più o meno triste; e comprenderanno anche quanto sieno serii i doveri di fatica, d’onestà, di sacrificio e di forza a cui s’apprestano. Ne risulti almeno, per molti italiani, una maggiore coscienza d’azione, un più vivo sentimento di responsabilità e siano essi indotti a scegliere con libertà, sì, ma con prudenza.

Io ho già dimostrato, per via di fatto, che l’emigrazione nel Brasile interessa particolarmente il colono; ma ho anche manifestato come l’ideale migliore, per la nostra colonizzazione agricola, sia quella del colono proprietario; ho anche detto come la causa prima e maggiore d’ogni danno sia l’ignoranza. L’emigrante non ne ha colpa se commette errori quando nessuno l’ha messo in condizioni da evitarli. In patria, dovremmo, prima d’ogni altro, curare seriamente l’istruzione e l’educazione degli italiani e specialmente del colono il quale ha però il dovere d’informarsi scrupolosamente, prima d’emigrare, delle condizioni del paese in cui intende recarsi, del genere di lavoro che vi può trovare, del modo con cui s’è trattati, dai compaesani che vi andarono prima di lui o dai Comitati mandamentali o comunali per l’emigrazione, dei quali parlerò più ayanti; meglio ancora da quelli e da questi; insomma da fonti coscienziose e sicure; e non deve fidarsi, come fa spesso, ingenuamente ed anche scioccamente, del primo venuto.

Queste pagine, sono in gran parte per lui ed egli, se sfortunatamente non sa leggere, se le faccia leggere da un compagno; imparerà tante cose necessarie e giudicherà con la sua testa, anzichè con quella degli altri, se gli sarà vantaggioso partire, o più vantaggioso ancora rimanersene nel suo paese.

In quanto agli operai essi pure apprenderanno, dalle pagine precedenti, come nel Brasile le industrie sieno ancora, in genere, troppo all’inizio per poter richiedere un gran numero di lavoratori e per poterli compensare largamente. Quando si conosce una via, così nei suoi pericoli come nei suoi vantaggi, è più facile e ragionevole la scelta; le illusioni cedono il posto alla realtà, le forze misurano la propria potenza per poter combattere e riuscire e l’uomo diviene cosciente dei suoi atti e prepara in se stesso le qualità migliori per poter affrontare dignitosamente e vittoriosamente le difficoltà immancabili in qualunque campo. Però una verità campeggia sicura e gigantesca: per affrontare, con maggiore probabilità di successo o il lavoro dei campi o quello delle industrie, occorre il capitale. E dato che ciò non è ancora voluto dai nostri capitalisti, commercianti ed industriali e non è in potere di un solo individuo il quale affronta appunto le amarezze della separazione e della lontananza per infelici condizioni economiche, l’operajo comprenderà l’importanza assoluta di conoscere, prima d’affidarsi al caso, il Brasile in quanto riguarda il lavoro, il compenso, le condizioni materiali e morali di vita, lo sviluppo dei centri coloniali ove le industrie già iniziate e rigogliose possono assicurargli grandi probabilità di trovare lavoro e di svolgere le proprie energie con sicurezza di un buon compenso. Sarebbe dunque imprudente partire a caso, senza anticipazioni; senza consigli certi e fidati ed esporsi quindi, all’arrivo, per un tempo più o meno lungo, ad una mancanza di lavoro, cosa tanto più penosa in quanto la vita delle città brasiliane è costosissima.

Ma coloro che più specialmente bisogna premunire contro le illusioni e l’inesperienza, sono i numerosissimi giovani i quali, sentendosi energici e volonterosi ed insofferenti di vivere in patria, nelle modeste condizioni d’un’industria o d’un commercio a cui non possono dare vivo impulso, per mancanza di capitale, immaginano di trovare chi sa quale meraviglioso impiego dirigente nelle amministrazioni industriali e commerciali della Repubblica sud-americana.

Nel Brasile, invece, appunto per la relativa mancanza d’industrie, o per lo stato troppo iniziale di alcune di esse, non difettano nè contabili, nè impiegati di commercio o d’amministrazione; anzi la lotta per la vita, in questo campo, è così viva quanto nella nostra vecchia Europa, ed anche le professioni liberali, per lo sviluppo dell’istruzione d’ogni grado, incominciano ad essere ingombranti. Soprattutto dunque gli agricoltori ed i così detti braccianti son certi di trovar lavoro appena sbarcati; però a condizioni più o meno fortunate a seconda dell’accortezza avuta prima di partire dall’Italia e secondo ciò che risulta da questo volumetto, il quale s’è appunto interessato, in ispecial modo, della vita agricola. Per i braccianti o per certi speciali operai, i lavori pubblici e privati (edifici, ferrovie, ponti, fognature, pavimentazione, condutture d’acqua, ecc.) per il progresso che si sta svolgendo attivo nel Brasile, si moltiplicheranno, avvivando così il bisogno ed il valore della mano d’opera, mentre le città presentano oggi condizioni tali di salubrità e d’igiene da rassicurare chiunque e da sostenere il paragone colle città europee meglio organizzate sotto questo punto di vista. Così, per esempio, i nostri operai dovrebbero interessarsi dello sviluppo progressivo dei centri brasiliani negli stati ancor poco affollati; ad esempio nell’Amazzonia, essendo tutto in formazione, si ricerca molto e si compensa bene l’opera dei muratori, dei fabbricanti di mattoni, dei fornaciai, dei manovali, degli scalpellini, dei lattonai, dei coltellinai, degli imballatori, dei funajuoli, degli arrotini, dei pittori, dei calafati, ecc.; come avviene anche per i cuochi, i domestici, i caffettieri, i pasticcieri, i trattori, i barbieri e simili e, finalmente, il grande sviluppo della navigazione fluviale rende molto ricercati gli operai meccanici ed i macchinisti.

Ma, perchè questi lavoratori potessero facilmente avviarsi nell’Amazzonia, occorrerebbe stabilire con quelle terre una speciale navigazione nostra, la quale porterebbe anche un grande vantaggio al commercio italiano.

Il bisogno che i Brasiliani sentono del nostro concorso di lavoratori intelligenti, sobri, energici, non è meno intenso della necessità che noi sentiamo d’impiegare, nel Brasile, l’esuberanza delle nostre forze fisiche ed economiche. Da questo ha origine il nobile sogno per la nostra migliore colonizzazione nella Repubblica di qualche illustre italiano che ha studiato profondamente e amorosamente il problema emigratorio, riguardante in ispecial modo gli operai ed i coloni; cioè d’una cooperativa in Italia di operai capitalisti o divenuti tali nel corso di più anni d’economie accumulate. Da questa Associazione dovrebbe ogni anno staccarsi un gruppo di cento, mille o duemila persone; in modo che gli uni fossero i pionieri degli altri ed insieme le guide sincere, costanti, solidali; uniti tutti da un sol patto per un solo scopo; quello cioè di consacrare, con la fondazione di tanti centri agricoli, intorno ai centri commerciali ed industriali, nei luoghi ove è più sicuro e magnifico il compenso del terreno, la fortuna del loro lavoro, della nostra emigrazione in genere e del commercio italiano nel Brasile ed in Patria.

Queste società-agricole, commerciali ed industriali cooperative fra italiani, avrebbero anche il vantaggio di cementare i sentimenti di nazionalità e di patriottismo, di solidarietà fra i connazionali nostri che, purtroppo, su quelle terre lontane, invece di cercarsi fraternamente per cooperare insieme al comune benessere e alla protezione e difesa dei più disgraziati, si isolano con odiose distinzioni regionali che, spesso, specialmente nelle città, originano discordie e sorde lotte dannosissime, perpetuando quasi il maledetto smembramento a cui l’Italia soggiacque nei secoli passati. Molti emigranti nostri non partirebbero allora affidati alla ventura, non rimarrebbero o senza lavoro, o abbandonati nella miseria più crudele o costretti, per fame, ad affrontare condizioni penose di fatiche esorbitanti e privazioni spaventose. La legge condanna è vero nei suoi articoli lo sfruttamento; ma senza efficacia per le difficoltà materiali d’esecuzione, in luoghi lontanissimi tra di loro e dai centri, sfuggenti per la stessa solitudine alla protezione legale. Né gli emigranti rimarrebbero ingannati da infami sfruttatori od imbroglioni i quali, non di rado, approfittano della loro ignoranza e miseria per perderli. E forse questo sarebbe un buon mezzo anche perchè, nelle colonie nostre, non mancassero scuole o almeno cattedre ambulanti per portare l’istruzione ovunque e specialmente fra quei gruppi della nostra gente i quali rimangono lontani da ogni città per otto, dieci e più mesi per i lavori di sterro, di canalizzazione, di gallerie, ecc. Né avverrebbe il fatto così frequente fra i moltissimi nostri coloni analfabeti, di non sapere neppure che, anche in terra straniera, v’è chi rappresenta l’Italia, un uomo che ha il dovere di consigliarli, di ajutarli e di proteggerli appena lo domandino. Per essi, fin dal momento in cui la nave, che li portò sulla spiaggia lontana, lascia gli ormeggi, si spezza ogni legame colla terra natia, dalla quale a poco a poco dimenticano persine la lingua. La colpa non è tutta loro; finché le scuole italiane per gli adulti e per i fanciulli non si moltiplicheranno in certe regioni della nostra patria e nel Brasile, non sarà possibile, nonostante tutte le leggi di protezione, preparare lavoratori che possano far fruttificare la loro intelligenza e virtù di lavoro e sappiano difendere se stessi, nè si potranno formare nuclei prosperi di gente italiana, colonie fiorenti per agricoltura, commerci ed industrie e per benessere economico, intellettuale e morale; nè si creerà mai la vera patria italiana all’estero, quell’Italia coloniale, degna del suo passato glorioso, che, sugli oceani, colle antiche navi superbe delle repubbliche nostre, fece sfolgorare, sui popoli edi in patria, luce di ricchezza, di potenza e di civiltà.

Norme pratiche per chi emigra al Brasile.

Dalla scelta del luogo di destinazione può dipendere dunque la sorte favorevole o sfavorevole dell’emigrante. Per le informazioni necessarie l’emigrante deve rivolgersi ai Comitati che si trovano generalmente nei Mandamenti ed anche nei Comuni i quali alimentano una forte emigrazione. Questi comitati sono composti dal pretore o dal giudice conciliatore, dal sindaco o di chi ne fa le veci, dal curato, d’un medico e d’un rappresentante di società operaje e ricevono dal Regio Commissariato dell’emigrazione di Roma le notizie precise e pratiche che possono servire a chi emigra. Se però questi comitati non funzionassero in modo regolare ed efficace, l’emigrante potrà rivolgersi o direttamente al R. Commissariato dell’emigrazione di Roma od anche ad alcune società private che lo consiglieranno gratuitamente e senza nessuna idea di guadagno o d’inganno.

Queste sono:

1°. La Società Dante Alighieri (Sede Centrale di Roma, Via della Stelletta, 23).

2°. Congregazione dei missionari di San Carlo per gli emigranti italiani (Piacenza).

3°. Salesiani di Don Bosco (Torino, Valdocco).

4°. Società Umanitaria (Milano, Via San Barnaba, 38).

5°. Segretariati del popolo e dell’emigrazione (a Udine, Belluno, Biella, Bologna, Feltre, Lucca, Rovigo, Verona, Gravellona Toce, Intra, Parma, Mantova, Reggio Emilia). L’emigrante può rivolgersi a quello più vicino al suo paese.

6°. Asilo per gli emigranti (Palermo, Via V. Emanuele, Piazza Cavallo Marino, presso lo scalo d’imbarco).

7°. Patronato per gli emigranti in Genova, Questo Patronato assiste tutti gli emigranti prima dell’imbarco a Ponte Federico Guglielmo.

8°. Regio Commissariato dell’Emigrazione a Roma. L’emigrante, come ho già detto, potrà chiedere per lettera, con suo grandissimo vantaggio, le informazioni sul paese in cui intende immigrare e tutte le notizie che gli possono essere utili.

Chi può emigrare.

Solo in alcuni casi speciali l’emigrazione è impedita; così, oltre gli iscritti di leva di terra e di mare che compiono entro l’anno l’età di 18 anni e che per emigrare debbono ottenere il permesso dal prefetto a dal sottoprefetto (quelli di terra), o dal capitano di porto (quelli di mare) ed oltre i militari di prima categoria dell’esercito che si trovino in congedo illimitato e che, se non hanno compiuto il 28° anno di età, debbono, per emigrare, ottenere il permesso dal comandante del Distretto, e se non hanno compiuto il 32° debbono notificare la loro partenza alla stessa autorità; non possono emigrare quelli che debbono scontare una pena o sono sotto processo; quelli che partono lasciando in abbandono o prive di sussistenza persone a cui per legge debbono provvedere; i minorenni se non ottengono il permesso dei genitori, o di chi ne fa le veci, o, in mancanza, del pretore, o del giudice conciliatore; i ragazzi d’età inferiore a 15 anni quando c’è ragione di credere che vengano condotti all’estero per impiegarli in industrie pericolose o nocive alla salute e le donne minorenni quando vi sia timore che si vogliano trarre al cattivo costume. La legge punisce severamente tutti coloro che favoriscano, o procurino l’emigrazione di quelli che per le ragioni esposte non possono uscire dal Regno.

Passaporto.

Quando l’emigrante abbia preso tutte le informazioni necessarie ed abbia definitivamente stabilito di partire, deve procurarsi il passaporto per l’estero. Quello per l’interno del Regno non serve a nulla. Per ottenere questo passaporto egli deve domandarlo a voce o per iscritto (in carta semplice) al Sindaco del Comune. Sulla domanda in carta libera deve scrivere, per ottenere il documento gratuitamente: «emigrante a scopo di lavoro». Il Sindaco, dopo aver dato il suo nulla osta, trasmette la domanda coi documenti prescritti alle Autorità competenti (Prefetto e Sottoprefetto) che sono obbligate a rilasciare il passaporto entro 24 ore, non compresi però in questo termine i giorni festivi. Sul passaporto possono essere iscritti, col capo di famiglia, la moglie, i genitori ed i figli; col tutore i suoi amministrati; col fratello maggiorenne i fratelli minori e le sorelle non maritate conviventi con lui. Il passaporto è obbligatorio per tutti e senza di esso non si può ottenere il biglietto d’imbarco; inoltre è necessario per le operazioni di leva; per trovar lavoro e alloggio; per presentarlo agli impiegati ferroviarii; per ritirare lettere o vaglia alla posta, per provare l’identità personale ecc. Il passaporto è valido per tre anni. L’emigrante deve tenerlo sempre con sè e non cederlo a nessuno.

Certificati di vaccinazione.

Tutti i minorenni, fino a 16 anni, sono obbligati ad avere, oltre il passaporto, il regolare certificato di vaccinazione o di sofferto vajuolo e lo debbono mostrare agli ufficiali sanitari incaricati a ciò nei porti d’imbarco. Sarebbe bene che tutti, anche gli adulti, si vaccinassero almeno 15 giorni prima di partire dal proprio paese, non solo per essere preservati dal vajuolo che facilmente può minacciare la vita in questi viaggi così lunghi e fra tanta gente; ma anche perchè, se la vaccinazione è fatta a bordo, si può essere attaccati dalla febbre durante la traversata o sbarcare col braccio gonfio in modo che l’emigrante non potrebbe dedicarsi immediatamente al lavoro.

Libretti di lavoro.

Per i minorenni, oltre il certificato di vaccinazione, è obbligatorio il libretto di lavoro, che è rilasciato gratuitamente dal Sindaco.

Biglietto d’imbarco.

L’emigrante non deve vendere le proprie masserizie, la casa o il pezzo di terra che possiede, nè abbandonare il lavoro, prima d’aver ricevuto realmente il biglietto d’imbarco per una determinata partenza. Per ottenerlo chieda al Comitato mandamentale o comunale quali sieno i piroscafi in partenza per il paese dove intende recarsi, a quali Società di navigazione appartengono, quale sarà approssimativamente la durata del viaggio e quale il prezzo del biglietto, dal porto d’imbarco a quello di sbarco. Tutte queste indicazioni sono contenute nel manifesto delle partenze che il Commissariato d’emigrazione invia mensilmente ai Comitati per l’emigrazione. Questi Comitati hanno per lo più sede nel palazzo municipale. I prezzi dei biglietti sono approvati, nell’interesse degli emigranti, dal Commissariato. I biglietti d’imbarco possono essere venduti solo dai vettori (Società di navigazione o armatori di bastimenti) o dalle persone che li rappresentano legalmente. L’emigrante non deve pagare nulla, nemmeno a titolo di anticipazione se non ha avuto il biglietto; quando l’avrà ricevuto potrà pagarlo per intero o solo in parte al rappresentante con cui ha contrattato l’imbarco, riservandosi di pagare il residuo nel porto di partenza; però dovrà sempre prender nota sul biglietto stesso del pagamento fatto, o parziale o totale. Oltre il prezzo di trasporto o nolo, egli non deve pagare senserie o compensi per nessun motivo.

I bambini, fino all’età d’un anno non compiuto, sono imbarcati gratuitamente; quelli da un anno a 5 anni (non compiuti) pagano un quarto di posto; quelli che hanno compiuti 5 anni e son minori di 10, pagano mezzo posto; quelli che hanno compiuti i 10 anni devono pagare un posto intero. L’età si desume dal passaporto. Il biglietto d’imbarco da diritto all’emigrante di essere sbarcato, col proprio bagaglio, direttamente nella panchina di scalo, al porto di destinazione.

L’emigrante deve regolare la sua partenza in modo da giungere al porto d’imbarco nella vigilia, oppure la mattina del giorno in cui il piroscafo deve partire, poichè le spese di vitto e d’alloggio sono a carico del vettore solo dal mezzodì del giorno anteriore a quello stabilito nel biglietto per la partenza, fino al giorno in cui la partenza avvenga; se l’emigrante giungesse al porto d’imbarco, parecchi giorni prima di quello antecedente alla partenza, egli dovrebbe provvedersi in quel tempo di vitto e d’alloggio a sue spese. Prima di partire dal suo paese è utilissimo che l’emigrante si sottoponga ad una visita medica. Se egli sapesse quali scene di disperazione si svolgono nei porti d’imbarco e peggio di sbarco in America, quando i medici devono respingere un membro della famiglia per malattia, comprenderebbe la somma importanza di questa mia raccomandazione. Inoltre è bene che ritardino di partire i convalescenti di malattie febbrili (tifo, malaria, ecc.), i giovani che non sono ancora sviluppati completamente e che nei nuovi paesi dovranno darsi a gravi fatiche, i malati di petto, le donne che debbono diventar madri, insomma quanti non si trovino in ottime condizioni di salute e non abbiano una robusta costituzione fisica.

Nei porti d’imbarco.

L’emigrante, giunto dal suo paese a uno dei porti di imbarco, a Genova, o a Napoli, o a Palermo, o a Messina, troverà alla stazione ferroviaria un incaricato della Società di navigazione, che lo accompagnerà agli uffici dei passeggeri di 3ª classe per ritirare il biglietto d’imbarco e quindi, finché non siano costruiti gli Asili per gli emigranti, simili a quello di Palermo, egli verrà condotto in alberghi speciali, che sono autorizzati dal R. Ispettore dell’Emigrazione. O nell’Asilo o in questi alberghi, che sono sorvegliati dal Prefetto, dall’Ispettore dell’Emigrazione, da un medico per la pulizia dei locali e la qualità dei viveri, gli emigranti che hanno il loro biglietto d’imbarco saranno alloggiati e mantenuti gratuitamente dal mezzodì della vigilia del giorno fissato per la partenza fino al momento in cui la partenza avviene veramente. Intanto gli emigranti custodiscano bene il loro denaro, non lo consegnino a persone sconosciute e non ricevano assolutamente denaro da nessuno in custodia, perchè è proprio così che i ladri li spogliano nei porti d’imbarco attuando giornalmente quei furti speciali, chiamati truffe all’americana. Gli emigranti dunque non consegnino nè accettino denaro, assolutissimamente; nè facciano spese inutili che nei porti d’imbarco sono molto forti; pensino invece che all’estero, lontano dalla patria, sentiranno più che mai urgente il bisogno di denaro. Sarebbe bene invece che essi affidassero i propri denari al Banco di Napoli o ad uno dei suoi rappresentanti che, per legge, sono autorizzati a spedire i risparmi degli emigranti. Al momento della partenza dall’Italia il Banco consegna, a chi fa il versamento del suo denaro, vaglia (chèques) che sono esigibili in America presso i rappresentanti del Banco stesso, senza dover nulla pagare per l’incasso.

Ed anche per tutte queste formalità forse è bene che io dia uno specchietto degli indirizzi utili nei varii porti nostri d’imbarco, perchè l’emigrante conosca con sicurezza dove debba rivolgersi e sfugga quindi assolutamente i soliti amici improvvisati, eppure così straordinariamente premurosi e cortesi.

Indirizzi utili a Genova.

Regio Ispettore d’Emigrazione. — (Via S. Benedetto, 11, presso la Stazione ferroviaria di Piazza Principe).

Comitato genovese di patronato per gli emigranti — (tra Via Garibaldi e Piazza Fontane Marose, presso l’Associazione Ligure Cristoforo Colombo e al Ponte Federico Guglielmo).

Comitato della Società «Dante Alighieri» — (Galleria Mazzini).

Missionari del porto. — (Salita Montebello, 7, int. 8: si sale da Via Balbi).

Uffici postali e telegrafici. — (in principio di Via Balbi; in Piazza Annunziata; in Via Roma; in Piazza Umberto I, ecc.).

UFFICI DELLE COMPAGNIE DI NAVIGAZIONE[4].

Navigazione Generale Italiana. — (Salita S. Giovanni di Pre, Piazza Acquaverde).

Società «La Veloce» — (Via Garibaldi e Salita S. Giovanni di Pre, negli Uffici della Navigazione Generale Italiana).

Società «Italia» — (Via XX Settembre, 34; Via Fontane, 10, int. 4).

Lloyd Sabaudo. — (Direzione: Salita S. Siro, 105, per passeggieri di 3ª classe, Via Balbi, 117-119).

Llyod Italiano. — (Piazza Principe).

La Ligure Brasiliana. — (Via Balbi, 13).

Transports Maritimes. — (Via Balbi, Salita S. Brigida, 2).

Companhia Transatlantica de Barcelona. — (Via Balbi: Salita S. Brigida, 2).

Indirizzi utili a Napoli.

Regio Ispettore d’ Emigrazione. — (Vico delle Gavine a Duomo, 45: presso allo Scalo dell’Immacolatella Nuova).

Ponte d’imbarco e baraccone per la vaccinazione.

Comitato della Società «Dante Alighieri».

Ufficio del Banco di Napoli incaricato dei vaglia per gli emigranti. — (Via Marina Nuova, 93: di fronte alla Capitaneria di porto, a breve distanza dal R. Ispettorato dell’Emigrazione).

Comitato Comunale per l’emigrazione.

Indirizzi utili a Palermo.

Regio Ispettore d’Emigrazione, Società di Patronato per gli Emigranti.

Comitato della Società «Dante Alighieri».

Asilo per gli emigranti. — (Via Vittorio Emanuele, Piazza Cavallo marino).

Il bagaglio.

Per il trasporto dei bagagli l’emigrante pagherà un compenso fissato dalla tariffa approvata dall’ispettore d’emigrazione. Prima che gli emigranti siano ammessi all’imbarco, i loro bagagli e specialmente biancheria, vestiti, ecc., vengono disinfettati; questa disinfezione è indispensabile per la buona salute dell’emigrante stesso e di tutti i compagni di viaggio, perciò egli non ceda ai consigli o degli ignoranti o dei bricconi che, con il pretesto bugiardo che gli oggetti si sciupano per la disinfezione, si fanno dare un compenso per sottrarli alla disinfezione stessa. L’emigrante deve convincersi che il più gran tesoro ch’egli possiede, quando abbandona la patria per cercare lavoro, è proprio la salute e che deve custodirlo gelosamente coll’igiene, colla temperanza, con la scrupolosa pulizia. Ed anche per questo egli non deve mettere nel proprio bagaglio oggetti sudici, o sostanze alimentari soggette a guastarsi, nè recipienti fragili ripieni di olio, vino, liquori, ecc., che, uscendone, potrebbero insudiciare biancheria e vestiti.

Ogni emigrante ha il diritto di portare con sè nei dormitori una parte del bagaglio che non oltrepassi in volume un decimo di metro cubo e deve riporre in esso la provvista di biancheria che possa bastare per tutto il tempo del viaggio, cambiandola almeno due volte la settimana. La pulizia soprattutto dunque!

Condotta da tenersi a bordo.

Gli emigranti salendo a bordo, devono rispettarsi reciprocamente, trattare le donne ed i fanciulli con riguardo, evitar liti e discorsi sconvenienti, osservare scrupolosamente l’onestà, l’ordine, l’educazione, la pulizia personale. Sul piroscafo vi sono appositi locali ove l’emigrante può fare il bagno e vasche d’acqua dolce per lavare la biancheria.

Bisogna osservare le regole d’igiene sempre, anche quando il mare cattivo rende indolenti, poichè solo per esse si può conservare la salute. Ogni emigrante, per sfuggire alla tentazione del giucco e al pericolo che il denaro gli venga rubato, dovrebbe consegnare al Commissario di bordo i denari ed i valori che gli saranno restituiti al porto di sbarco, presentando la ricevuta che ebbe nel momento della consegna.

Il Comandante ha affidate le vite, le sostanze, le merci e la nave in viaggio; mantiene l’ordine, la pulizia, la decenza a bordo della nave che comanda; e quindi tutti quelli che sono imbarcati, dagli ufficiali all’equipaggio e ai passeggeri, gli debbono rispetto ed obbedienza.

Il Regio Commissario è generalmente un capitano o tenente medico della Regia Marina e, per la legge dell’emigrazione del 31 maggio 1901, deve viaggiare su tutte le navi addette al trasporto degli emigranti per sorvegliare affinchè sia esattamente eseguita la legge che il nostro Governo ha emanato per la loro tutela. L’emigrante perciò deve rivolgersi a lui per qualsiasi bisogno e per le giuste lagnanze, che devono essere fatte con moderazione e rispetto; non gli sarà mai difficile trovarlo poichè, se è medico, egli trovasi nelle ore di visita nell’ambulatorio; oppure, in quasi tutte le ore della giornata, per il bordo, dove gira per la necessaria sorveglianza; prima della distribuzione del rancio in cucina, per assicurarsi che il vitto sia di buona qualità ben conservato e ben preparato; di notte per i dormitori, ove farà la ronda. Anche a lui, che rappresenta la Patria, la protezione, la tutela dei diritti, si dovranno il massimo rispetto e la migliore obbedienza.

Consigli pratici per mantenersi sani.

L’emigrante nel viaggio deve mangiare moderatamente e muoversi spesso per ajutare la digestione e soprattutto deve fare bagni frequenti e cambiare la biancheria due volte la settimana, tenere per sè il vasellame per mangiare e bere, conservarlo ben pulito, non attaccar mai la bocca ai rubinetti dell’acqua ma servirsi del proprio bicchiere; non dormire di notte in coperta anche se sono stese le tende, per non ammalarsi di reumatismi, d’influenza, di malaria, ecc. Se nella cuccetta facesse troppo caldo sarebbe bene ch’egli passeggiasse in coperta e dormisse poi nel pomeriggio. Coloro che in patria furono malati di malaria dovrebbero prendere, dopo le isole Canarie, qualche dose di chinino. In quanto ai bimbi, i genitori devono sorvegliarne con cura la pulizia ed il modo d’alimentazione. La loro mortalità è frequentissima a bordo appunto perchè non sono mantenuti abbastanza puliti; perchè si dànno loro liquori, carne di majale e frutta e cibo in quantità esagerata. Appena essi accusino un leggero malessere, i genitori devono ricorrere al medico e, in quanto ai bambini lattanti, le mamme debbono continuare l’allattamento a bordo con maggiore premura, e se, col cambiar di vita e d’abitudine, il loro latte diviene cattivo, debbono parlarne al dottore e ricorrere al biberon (che manterranno scrupolosamente pulito) e al latte sterilizzato, che sarà fornito gratuitamente dalla farmacia di bordo.

No, non sarà vergogna dire: «Non ho più latte che basti alla mia creatura», ma sarà colpa lasciarla deperire ed ammalare e forse perderla.

Ma non basta che l’emigrante pensi solo a sè ed ai suoi; è doveroso che pensi anche a quelli che viaggiano insieme con lui, come a fratelli i quali ubbidiscono alla stessa legge imperiosa della necessità, e a quella benedetta del lavoro. Perciò non curerà egoisticamente la sola sua salute, ma non sputerà per esempio qua e là, non getterà gli avanzi del cibo, le bucce d’aranci e di limoni in coperta dove i poveri emigranti, che non hanno il denaro per pagare l’affitto del sedile, son costretti a rimanere accoccolati tutto il giorno. Nè butterà in mare il pane buono, la minestra, la carne. Quanti affamati maledirebbero a quel disprezzo se vedessero!

Partenza.

I vapori da Genova (porto da cui generalmente si parte per l’America del Sud; quindi pel Brasile e per l’Argentina) lasciano di solito il Ponte Federico Guglielmo di sera, quasi per augurare all’emigrante che la notte, col sonno, ne calmi l’amarezza del distacco e dell’addio. Al mattino seguente si naviga in pieno golfo di Leone, finché dopo circa 18 ore i vapori (specialmente quelli francesi) toccano Marsiglia.

Marsiglia.

Qui i passeggeri potrebbero sbarcare; ma siccome dovrebbero sopportare le spese necessarie ed è invece utilissimo che risparmiilo tutto il denaro che possiedono, è consigliabile che rimangano a bordo o se anche, avendo là qualche parente, desiderino rivederlo, s’informino al R. Commissario dell’ora stabilita per la partenza, contrattino il prezzo d’andata e ritorno col barcajuolo in presenza di qualcheduno di bordo; ricordino il numero della barca, paghino il barcajuolo solo al ritorno e tornino al piroscafo prima dell’ora stabilita per la partenza.

Barcellona.

Molti vapori italiani e tutti quelli spagnuoli non toccano Marsiglia; ma, dopo quasi un giorno di navigazione da Genova, toccano Barcellona. Anche qui, per inviare notizie ai parenti ed agli amici, non occorre sbarcare; si consegna la corrispondenza al R. Commissario o si imposta direttamente nell’apposita cassetta, che viene sempre esposta in coperta quando si è in vicinanza dei porti. L’emigrante anche qui non deve fare acquisti poichè tutto è costosissimo, meno aranci e limoni che costano poco e sono eccellenti.

Stretto di Gibilterra.

Da Barcellona allo stretto di Gibilterra si costeggia la Spagna, il cui contorno orientale spicca netto, se il cielo è chiaro. Si arriva allo Stretto dopo tre giorni da Genova, dopo due da Barcellona; esso non è oggi pericoloso poichè, se vi è nebbia, il piroscafo procede con molte cautele, mentre la sirena fischia per avvertire del suo passaggio gli altri piroscafi. Dico ciò perchè di solito, a questo punto, gli emigranti s’allarmano e si raccomandano a Dio, mentre i furbi approfittano di tale ansia per raccogliere elemosine che, secondo essi, servono per propiziarsi il Signore.

Nell’Oceano Atlantico.

Passato lo stretto di Gibilterra ove i vapori si forniscono solo di carbone, s’entra nell’Oceano Atlantico e allora, per le forti ondate e pei movimenti del piroscafo, i più deboli ammalano e molti di quelli, che il mal di mare non aveva ancora colpito, incominciano a soffrire. Ricordi l’emigrante che è bene non farsi cogliere dagli sforzi del vomito a stomaco vuoto, perchè si soffre di più ed è utile succhiare un pezzo di limone, mettersi nella posizione orizzontale che solleva un poco e non fumare assolutamente.

Santa Cruz.

Dopo 5 o 6 giorni da Genova si scorgono le montuose isole Canarie che si trovano a poca distanza dalle coste occidentali dell’Africa. Qui alcuni vapori fanno lo scalo per fornirsi di carbone alla capitale delle isole, Santa Cruz, dove, se l’emigrante vuoi scendere, può comperare solo frutta, canarini e pesci; non comperi però assolutamente carne di majale, nè dia frutta ai bambini che, per la temperatura più elevata delle regioni a cui il piroscafo s’avvicina, ammalano facilmente e gravemente. Il vapore può anche far carbone ai porto d’un’altra cittadina dell’isola Gran Canaria, cioè a Las Palmas. Anche qui si vende molta frutta.

San Vicente.

I vapori, che non hanno fatto carbone a Santa Cruz de Tenerifa, nè a Las Palmas, si dirigono alle Isole del Capo Verde, anch’esse a poca distanza dalle coste africane e che si scorgono dopo 8 o 9 giorni da Genova. La più importante di esse è quella di S. Vicente che ha un forte deposito di carbone ma che, essendo arida ed incolta, importa il necessario per l’alimentazione dei suoi abitanti dalle isole vicine e quindi offre merci di prezzi elevatissimi. L’emigrante deve vincere perciò ogni tentazione quando, a bordo o intorno alla nave, s’adunano, appena il vapore è messo in libera pratica, i venditori d’aranci, di banane, di noci di cocco, d’ombrelloni, ventagli, stuoje, vesti, pappagalli, ecc.

Dakar.

I vapori francesi, invece dei porti che ho nominato, toccano Dakar, bello e sicurissimo sulle coste del Senegal, colonia francese in Africa; ma luogo ove dominano le febbri malariche, per cui gli emigranti non debbono dormire di notte sopra coperta, nè buscarsi le punture delle zanzare; ma prendere qualche dose di chinino, chiedendolo al R. Commissario, per poter sfuggire alle febbri a cui molti vanno soggetti fra le isole del Capo Verde e l’Equatore.

Traversata dell’Atlantico.

Dopo aver toccato o l’uno o l’altro di questi porti della costa africana, la nave comincia definitivamente la traversata dell’Oceano Atlantico; mentre il caldo cresce, il vento cessa e la noja sembra aumentare. Qui è più che necessario prendere il bagno per rafforzare il corpo e moversi per rinfrancarsi dall’infiacchimento. Quattro o cinque giorni dopo Capo Verde si passa l’Equatore, che è un circolo immaginario il quale divide il globo terrestre in due parti uguali: nell’emisfero nord ed in quello sud.. L’Italia nostra, con tutta l’Europa, con parte dell’Asia e dell’Africa, coll’America settentrionale e centrale trovasi in quello settentrionale; il Brasile, l’Argentina, con tutta l’America meridionale, e il resto dell’Africa e l’Oceania si trovano nell’emisfero meridionale. Quando si passa questa linea (così la chiamano a bordo) si fa un pó di festa. Dopo un giorno dal passaggio dell’Equatore i vapori diretti al Brasile scoprono l’isola di Fernando Noronha, di forma bizzarra, e bellissima per la vegetazione magnifica. Poi, a poco a poco si scorge al Capo Frio la terra; e dopo qualche ora il Pan de Zucar (pane di zucchero), lo scoglio caratteristico di fronte alla incantevole baja di Rio de Janeiro, poco lontano dalla bellissima capitale del Brasile.

Lo sbarco.

Quando il piroscafo giunge al porto d’arrivo può essere talvolta vietato agli emigranti, per ragioni a loro utili, di sbarcare subito coi viaggiatori; in questo caso essi non devono impazientirsi, ma subire la visita medica e tutte quelle formalità che, essendo loro vantaggiose, ancora parlano della patria e del suo affetto. Ed invece di mettersi in ansia scioccamente per le domande che i funzionari governativi fanno per proteggerli, a scopo d’informazione, devono guardarsi dagli speculatori, che di solito circondano con mille inganni i nuovi arrivati. Se l’emigrante non è atteso da un amico conosciuto e fidato o da un parente, deve rivolgersi esclusivamente al Consolato italiano o agli uffici o società italiane di protezione e d’avviamento al lavoro per avere tutte le informazioni di cui abbisogna. L’emigrante deve pensare che sempre, nei paesi nuovi, nonostante la vigilanza della polizia, è circondato da continui pericoli, perciò non dia retta ai premurosi che si spacciano per compatrioti o amici dei suoi conoscenti e gli promettono ajuto, consiglio, ecc., ecc., nè affidi a nessuno, quando avrà una piccola somma, il suo danaro; ma solo come già dissi al rappresentante all’estero del Banco di Napoli, a cui fu data per legge la facoltà di raccogliere ed inviare in patria i risparmi degli emigranti. Dalle autorità consolari italiane all’estero l’emigrante potrà conoscere il nome del vero corrispondente del Banco di Napoli, A Rio de Janeiro hanno sede il Consolato d’Italia ed un Patronato di difesa degli emigranti italiani sostenuto dal nostro Governo per fornirli di informazioni sicure e coscienziose e in ispecial modo, ciò che importa moltissimo, sulla puntualità più o meno precisa dei fazendeiros nei loro pagamenti.

Avvertenze speciali.

Chi emigra dev’essere sano e robusto e deve guardarsi sempre dagli eccessi di qualunque specie perchè le spese per il medico e le medicine sono nel Brasile molto gravose. La famiglia dell’emigrante dovrebbe essere composta d’almeno quattro persone capaci di lavorare; perciò le famiglie composte di marito, moglie e piccini «non devono» emigrare nel Brasile. In nessun altro paese, come nella Repubblica Brasiliana, l’emigrante deve prendere le maggiori precauzioni per non sbagliare nella scelta del luogo dove stabilirsi, tanto per le condizioni in cui assumere il lavoro, sia esso agricolo o no, quanto per la retribuzione che gli spetta. La vastità del paese rende assai difficile, causa la deficienza delle linee ferroviarie, di muoversi dai luoghi di dimora nell’interno, tanto più perchè occorrerebbero spese troppo forti per essere sopportate da una persona e sopratutto da una famiglia che abbia mezzi ristretti. Dunque non sarà mai raccomandato abbastanza all’emigrante di saper bene dove va e a quali condizioni lavora, di cercare (se vuol lavorare come salariato in una fazendas), un fazendeiro che paghi puntualmente la mercede pattuita ancorché sia modesta, che tratti bene i suoi dipendenti e la cui fattoria sia vicina a San Paolo o non lontana da altre città e quindi da una stazione ferroviaria. Prima d’accettare qualsiasi patto si rivolga per schiarimenti, consigli ed informazioni al Console o al Patronato italiano degli emigranti che ha sede a Rio de Janeiro in Rua I de Março, N. 10.

I soli emigranti diretti allo Stato di S. Paulo devono munirsi a Rio de Janeiro di biglietti d’imbarco pel porto di Santos; quelli invece che intendono recarsi in qualche altro Stato del Brasile devono sbarcare in Rio de Janeiro. Essi possono qui godere, se non vogliono farne a meno, i vantaggi che il Governo federale accorda ai nuovi emigranti, cioè alloggio e vitto nell’Isola dei Fiori, il viaggio gratuito fino al luogo di destinazione e il trasporto pure gratuito del bagaglio.

Isola dei Fiori.

I vapori provenienti da porti stranieri al loro arrivo nel porto di Rio de Janeiro sono visitati da funzionari dell’immigrazione, che fanno da interpreti e che si riconoscono dall’uniforme speciale. Essi parlano le principali lingue europee ed offrono, in nome del Governo Brasiliano, a tutti gli immigranti validi, forti e di buona condotta, sbarco ed ospitalità provvisoria e gratuita nello stabilimento che funziona a questo scopo nell’Ilha das Flores (Isola dei Fiori). Quest’isola è situata nella bella baja di Rio de Janeiro, a cinquanta minuti dalla città ed ha un aspetto pittoresco. Gli immigranti, che accettano l’ospitalità nell’Isola dei Fiori, vi vengono condotti coi loro bagagli e dopo aver fatte le dichiarazioni necessarie sul nome, l’età, il mestiere, la provenienza, la destinazione, ricevono l’alloggio ed il vitto gratuitamente fino ad otto giorni al massimo, per riposarsi delle fatiche del viaggio ed essere poi guidati alla loro destinazione. Quando gli emigranti volessero girare per la città onde comprare strumenti di lavoro e prendere informazioni negli uffici che indicherò qui sotto, debbono avvisare l’amministrazione dell’Isola dei Fiori per. essere guidati da interpreti. Questo non vieta però che essi sieno liberi di rivolgersi per consiglio ed informazioni agli uffici nostri di protezione per gli emigranti italiani; anzi io consiglio vivissimamente questi uffici, dandone un elenco apposito per facilitarne la ricerca :

Gli Istituti di patronato per gli emigranti sono purtroppo nel Brasile soltanto tre:

Patronato per gli emigranti in Rio de Janeiro. — (Rua I de Marco, 10).

Patronato per gli emigranti in San Paolo. — (Largo do Palacio, 7).

Patronato per gli emigranti in Santos. — (Sezione del Patronato di S. Paolo: Rua S. Antonio, 24).

Il Patronato in Rio de Janeiro è un ufficio di protezione e tutela degli emigranti italiani annesso al Regio Consolato d’Italia; esso invia a bordo di tutti i piroscafi, che si fermano in quel porto, un suo agente che porta sul berretto questa scritta: «Patronato degli emigranti».

I nostri connazionali possono, anzi vorrei dire debbono rivolgersi a questo agente per essere informati sulle operazioni di sbarco, sulle locande, per l’acquisto dei biglietti di prosecuzione, per la spedizione di bagagli e il cambio della moneta. L’Ufficio di patronato provvede ad assistere gratuitamente gli emigranti specialmente per smarrimenti di bagagli; ricerca di parenti ed amici; contestazioni con albergatori, cambisti, ecc.; richiesta di atti di stato civile; ricerca di occupazione in stabilimenti ed officine, in lavori stradali, di costruzione, di miniere; assistenza in caso di malattie, ricovero negli ospedali; rimpatrio e assistenza speciale alle vedove e agli orfani; pratiche con le autorità brasiliane per ottenere, a favore degli emigranti giunti dall’Italia, da non oltre tre mesi, il viaggio gratuito da Rio de Janeiro ai luoghi di destinasione nell’interno del Brasile ove si recano a scopo di lavoro.

Il Patronato per gli emigranti italiani in San Paolo assiste gratuitamente, per mezzo di apposito personale, gli emigranti nelle stazioni all’arrivo e alla partenza dei treni; dà loro tutte le informazioni ed i suggerimenti di cui possono aver bisogno, li fa accompagnare negli alberghi autorizzati: all’Hospedaria (asilo gratuito) ed alla sede del Patronato a cui gli emigranti possono rivolgersi senza alcuna spesa per gli scopi identici indicati sopra a proposito del Patronato di Rio, con la differenza che qua le informazioni per il lavoro riguardano in ispecial modo le fazende in cui gli emigranti intendono di recarsi per coltivare il caffè e per il viaggio gratuito quello da San Paolo alla stazione più vicina al luogo dove i coloni intendono di recarsi a lavorare.

Il Patronato per gli emigranti italiani in Santos ha scopi simili ed è più che altrove utile, anzi necessario per i nostri emigranti.

Autorità Consolari Italiane.

Gli emigranti, appena giunti sul territorio brasiliano, devono chiedere quale sia la sede del Consolato d’Italia più vicina al luogo ove essi dimoreranno, per informare per lettera o per cartolina il Console della loro presenza nel distretto, col nome, cognome, paternità, data e luogo di nascita. Questo non è un’obbligo per gli emigranti, ma potrà arrecar loro molti vantaggi; è insomma un loro dovere poi’chè il Console rappresenta per essi, sulla terra straniera, la Patria e costituisce il legame più intimo e sensibile con essa, ed ha il dovere di tutelare i diritti ed i legittimi interessi dei connazionali. Gli emigranti che, per qualunque motivo, di assistenza, di protezione, o per qualche atto di stato civile, abbiano bisogno di ricorrere ad uffici consolari, devono indirizzare le loro richieste al Console o al Vice-Console o all’Agente consolare d’Italia della Circoscrizione in cui si trova il luogo ove dimorano. Eccone l’elenco:

Stato di Rio de Janeiro.

Ministro d’Italia in Petropolis. Console d’Italia in Rio de Janeiro, con giurisdizione sul Distretto Federale e sullo Stato di Rio de Janeiro.

Stato di Bahia.

Console d’Italia a Bahia (o San Salvador), con giurisdizione anche sullo Stato di Sergipe.

Stato di Minas Gerães.

Console d’Italia a Bello Horizonte, con giurisdizione anche sullo Stato di Goyaz.

Vice-console d’Italia a Juiz de Fora,

Agente consolare a Ouro Fino.

Stato di Paranà.

Console d’Italia a Curitiba, con giurisdizione sul territorio dello Stato.

Stato di Santa Caterina.

Console d’Italia a Florianopolis con giurisdizione sul territorio dello Stato,

Stato di Pernambuco.

Console d’Italia a Pernambuco con giurisdizione sugli Slati di Alagoas, Amasonas, Cearà, Maranhão, Parà, Parahyba, Pianhy e Rio Grande do Norie.

Stato di Alagoas. — Agente consolare d’Italia a Maceió.

Stato di Amazonas. — Vice-console d’Italia a Manaos.

Stato di Cearà. — Agente consolare d’Italia a Cearà o Fortaleza.

Stato di Maranhão. — Agente consolare d’Italia a Maranhão.

Stato di Parà. — Vice-console d’Italia a Parà.

Stato di Parahyba. — Agente consolare d’Italia a Parahyba.

Stato di Rio Grande do Sul.

Console d’Italia a Porto Alegre, con giurisdizione anche sullo Stato di Matto Grosso.

Agenti consolari d’Italia a Bagè, a Bento Gonçalves, a Caxias, a Pelotas, a Rio Grande do Sul, a Sant’Anna do Livramento, a Santa Victorla do Palmar, a Uruguayana.

Stato di Matto Grosso.

Agenti consolari d’Italia a Corumba e a Cuyaba.

Stato di San Paolo.

Console generale d’Italia a San Paolo, con giurisdizione sul territorio dello Stato.

Vice-consoli d’Italia a Campinas, a Ribeirão Preto, a Santos ed a San Carlos do Pinhal.

Agenti consolari d Italia a Amparo, a Franca, a Jaboticabal, a Jahù, a Piracicaba, a San Josè do Rio Pards, a San Manoel, a Santa Cruz das Palmeiras e a Tanbatè.

Stato di Espirito Santo.

Console d’Italia a Vittoria, con giurisdizione sul territorio dello Stato.

Cambio della moneta, deposito e spedizione di denaro in Italia.

Gli emigranti, sia per cambiare il denaro, sia per depositarlo e spedirlo in Italia, debbono rivolgersi di preferenza per loro interesse, ai corrispondenti autorizzati del Banco di Napoli. I corrispondenti del Banco di Napoli, a cui è affidato nel Brasile il servizio delle rimesse e dei risparmi degli emigranti italiani sono:

A Rio de Janeiro. — Carlo Pareto e C., Rua 1°. de Março, 48.

A San Paolo. — Joao Briccola e C., Rua 15 de Novembro, 30.

A Santos. — Agenzia del Banco João Briccola e C.

A Pernambuco. — Miguel Isabella e C.

Ed ora, raccomandando anche una volta, in nome della lingua dolcissima che suonò amorosa sul labbro di nostra madre, attorno alla culla, e solenne sulle labbra di nostro padre, di amare sempre e dovunque la Patria, di onorarla, di farla stimare per il nostro lavoro e l’onestà, di renderla sempre più grande con ogni sforzo di progresso economico, intellettuale e morale, coll’intelligenza, l’attività e l’accordo fraterno fra i connazionali; di mostrarsene degni combattendo la propria ignoranza e quella dei figliuoli per mezzo della scuola, perchè, solo parlando la lingua dei loro padri, essi non dimenticheranno l’Italia anche se non l’avranno mai vista. Chiuderò queste pagine colle parole d’un Grande che adorò la Patria nostra con sentimento di devozione illimitata e fede sublime, tra sventure e sacrifici innumerevoli, con fierezza magnanima d’eroe e d’apostolo:

«L’umanità è un grande esercito che muove alla conquista di terre incognite, contro nemici potenti ed avveduti. Ciascuno ha un posto che gli è confidato; ciascuno ha un’operazione particolare da eseguire e la vittoria comune dipende dall’esattezza con la quale le diverse operazioni saranno compiute. Non turbate l’ordine della battaglia. Non abbandonate la bandiera che Dio vi diede. Dovunque vi troviate, in seno a qualunque popolo le circostanze vi caccino, italiano sia il pensiero delle anime vostre; italiani sieno gli atti della vostra vita; italiani i segni sotto i quali vi ordinate a lavorare per l’Umanità. Non dite, io, dite noi. La Patria s’incarni in ciascuno di voi. Ciascuno di voi senta, si faccia mallevadore dei suoi fratelli: ciascuno di voi impari a far sì che in lui sia rispettata ed amata la Patria.» (Mazzini).

FINE.


INDICE

CAP. I. — Storia del Brasile dall’epoca coloniale fino alla fondazione dell’impero

Scoperta del Brasile — Le prime esplorazioni — La colonizzazione — I Gesuiti — Gli esploratori — Espansione nell’interno del paese nei secoli XVI, XVII, XVIII.

Dalla fondazione dell’Impero alla proclamazione della Repubblica

Dalla proclamazione della Repubblica ai giorni nostri

Guerre — Il primo periodo repubblicano e la costituzione federale — La costituzione del 1891.

CAP. II. — Geografia del Brasile

Confini — Litorale Brasiliano — Capi — Isole — Orografia — Idrografia — Il clima.

Bellezze naturali del Brasile

La foresta — L’Amazzone.

CAP. III. — Etnografia — Usi e Costumi — Storia della colonizzazione italiana nel Brasile

Indigeni — Brasiliani — Meticci — I negri — La colonizzazione italiana nel Brasile.

CAP. IV. — Gli Italiani nei diversi Stati del Brasile

L’Amazonas — Gli Italiani a Rio de Janeiro e a S. Paulo — Tipi e macchiette di città — I lustrascarpe — Il venditore ambulante — Al mercato del pesce — Il «Mascate» — Il renajuolo — Le bande musicali — Vita dei campi — La «Fazenda» — Il Sertao.

CAP. V. — Alcune «Fazendas» italiane e brasiliane nello Stato di. S. Paulo

Quale dovrebbe essere l’ideale della nostra colonizzazione nel Brasile — Alcune «fazendas» dello Stato di S. Paolo condotte da Brasiliani.

CAP. VI. — Prodotti, Industrie e Commerci Brasiliani

Ricchezze naturali — Il caffè — Il caucciù — Il «mate» — Il cacao — Il tabacco — Lo zucchero — Il cotone — Altri prodotti vegetali — Prodotti animali — Prodotti minerali — Le industrie — Il commercio del Brasile con l’estero e specialmente con l’Italia — Il Sistema monetario brasiliano — Pesi e misure brasiliane.

CAP. VII. — Istituzioni pubbliche brasiliane

Istituti finanziari — Istruzione pubblica e coltura — Scuole italiane La cultura brasiliana — OPERE DI BENEFICENZA: — Ospedali italiani — OPERE PUBBLICHE: Ferrovie.

CAP. VIII. — Il Capitolo degli Emigranti

Avvertimenti — Norme pratiche per chi emigra al Brasile — Chi può emigrare — Passaporto — Certificati di vaccinazione — Libretti di lavoro — Biglietto d’imbarco — Nei porti d’imbarco — Indirizzi utili a Genova — Indirizzi utili a Napoli — Indirizzi utili a Palermo — Il bagaglio — Condotta da tenersi a bordo — Consigli pratici per mantenersi sani — Partenza — Marsiglia — Barcellona. — Stretto di Gìbilterra — Nell’Oceano Atlantico — Santa Cruz — San Vicente — Dakar — Traversata dell’Atlantico — Lo sbarco — Avvertenze speciali — Isola dei Fiori — Autorità Consolari Italiane — Stato di Rio de Janeiro — Stato di Bahìa — Stato di Minas Geraes — Stato di Paranà - Stato di Santa Caterina — Stato di Pernambuco — Stato di Rio Grande do Sul — Stato di Matto Grosso — Stato di San Paolo — Stato di Espirito Santo — Cambio della moneta, deposito e spedizione di denaro in Italia.


Notas

[1] Amerigo Vespucci nacque a Firenze il 9 marzo 1454. Pilota e geografo espertissimo compì al servizio della Spagna 4 viaggi nel Nuovo Mondo: il primo dal 1497 al 1499 ed il secondo dal 1499 al 1500 sotto due ammiragli spagnuoli; il terzo dal 1501 al 1502 sotto il portoghese Pedro Alvarez Cabral ed il quarto dal 1503 al 1504 sotto Gonzales Coelho, anch’egli portoghese. Dal 1509 al 1512, anno in cui morì a Siviglia, Amerigo Vespucci fu Pilota Major di Spagna.

[2] Vedere Piccola Storia del Popolo.Argentino di U. Biasioli. Vol. 2° di questa Biblioteca. Centesimi 60.

[3] Vedere la Piccola Storia del Popolo Argentino. — Vol. 2° di questa Biblioteca. Centesimi 60.

[4] I piroscafi appartenenti alle Società di Navigazione, italiane od estere, partono generalmente da Genova.


 

©2006 — Prof. G. Monachesi

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